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Archeologia del sé Mostra Personale di Silvia Battisti

INAUGURAZIONE

VENERDI’ 21 GENNAIO 2011 ore 18:30 Inaugurazione
Mostra Personale di Silvia Battisti
Archeologia del sé

Dal 21 gennaio al 11 febbraio 2011

Orario apertura mostre: dal martedì al sabato dalle 15:30 alle

19:00 in occasione di eventi serali fino alle 22:30


Spazio Tadini inaugura una personale di Silvia Battisti dal 21 gennaio al 11 febbraio 2011. Un viaggio tra le sue opere, gli ultimi anni, fino alle recenti “Lettere dal fronte”.

Le opere in mostra sono caratterizzate da una ricerca sulla memoria in cui una scrittura-codice, frammenti di materia ed evidenti cuciture, per lo più in ferro, pongono una riflessione sul tempo. Il suo trascorrere è una minaccia sempre in agguato contro il riordino di un’unità, di un’identità da rigovernare ogni volta. Spesso le sue tele ci pongono di fronte l’enigma della rottura e della ricomposizione.

Le opere di Silvia Battisti sono fortemente collegate all’individuo, alla sua interiorità, alla storia, al presente e anche in questa personale ogni opera circoscrive il luogo e il tempo dove si svolge l’azione, si formula una domanda, si cerca una risposta o la strada, o si rimane sospesi tra dimensioni impreviste, su piccoli baratri improvvisamente comparsi nel rettangolo della tela. A ricucire tasselli mancanti Silvia Battisti elabora anche un codice, un alfabeto.

Molte persone mi chiedono il significato della scrittura che appare nei miei lavori, così ho cominciato ad approfondire. Una giovane pittrice giapponese, guardando alcuni miei lavori, mi diceva che i colori che uso e la scrittura sono vicini alla cultura orientale nella rappresentazione del sacro. Senz’altro non è questo il mio intendimento, ma inconsciamente il messaggio è l’invisibile, il non ancora leggibile, la scrittura che “nasconde” ciò che non può essere che nascosto; quello che è proibito e inviolabile “come il Sacro” (Frank Lalou, La calligraphie de l’Invisible). Quello che mi interessa in realtà non è quello che scrivo, ma il segno nel suo risultato ritmico e plastico in rapporto agli altri segni: lettere in rapporto alle altre.[…] non cerco alcun significato. Si perde inoltre ogni nozione del tempo. Il risultato è un’impressione di equilibrio di linee, di una composizione vissuta nel tempo, di una comunicazione puramente visuale e gestuale. La possibilità ludica della linea nella sua libertà di comporre è forse il mio scopo primario e necessario.”                   Silvia Battisti

Pertanto la memoria è fatta di cose, immagini, non sempre ricomponibili in forme riconoscibili, di segni e parole non sempre leggibili. Ciò non ne toglie l’esistenza e le emozioni.

La mostra apre a infinite altre domande: sulla materia, sui simboli e le similitudini, sul linguaggio, sulla tridimensionalità, sull’uso o l’assenza di parole, sul ritmo, la musica, la forma, l’ordine, il logos. Componenti che troviamo nei nostri ricordi. Ma più ancora Silvia Battisti sembra voler porre l’accento sul percorso e l’attenzione necessari per ricomporre frammenti, un iter carico di emozioni e sentimenti che affiorano e sconfinano dal perimetro geometrico della tela. Dove vedere diventa anche soffrire alla visione di un’unità perduta e alla sensazione che sia proprio il tempo a frantumare le cose.

“Parlare delle opere di Silvia Battisti è come iniziare un viaggio all’interno del nostro animo, domandarsi quanto siamo in sintonia con noi stessi e come ci possiamo rapportare con le sue opere “difficili” e “profondamente intimistiche” senza rimanerne eccessivamente coinvolti.[…] Silvia Battisti dimostra di possedere la capacità intelligente e sottile di rilevare l’aspetto interiore dell’individuo e di comunicarlo attraverso visioni pittoriche in cui si rimane necessariamente “impigliati”.[…] Nelle sue opere l’esperienza data da Mondrian si integra con l’arte materica di Burri e con il concettuale di Fontana, per diventare un qualcosa di unico e caratterizzante per l’autrice stessa. […] cogliere la profondità, la similitudine continua tra il nostro microcosmo e il macrocosmo che ci circonda in un gioco di rimandi e somiglianze che partono dalla sfera più intima delle cose, l’anima.”                                                                                  Francesca Mariotti

Le cifre, i segni, le lettere, un alfabeto segnico ricorrono in quasi tutte le opere in mostra e sembrano le maschere di Nietzsche in Al di là del Bene e del Male (capitolo secondo – Lo spirito libero): “ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera: e più ancora, intorno a ogni spirito profondo cresce continuamente una maschera, grazie alla costantemente falsa, cioè superficiale interpretazione di ogni parola, di ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà.” Un “codice-maschera”, quello di Silvia Battisti, che scandisce ritmi di una composizione vissuta, ritmo di un irrompere nel silenzio verso una strada o forma di ricomposizione dell’unità perduta.

Nel ciclo “Lettere dal fronte” le lettere diventano intere parole, riconoscibili, e sanciscono un atto raro e importante, caro a Silvia Battisti, quello della ricostruzione della memoria, del ripercorrere il nostro passato, anche il più doloroso, per non dimenticarlo. In queste opere l’artista ha riscritto frasi, interi periodi delle lettere che il padre mandava alla madre e le ha incastonate tra immagini di propaganda, ritagli di giornali o bollettini informativi originali dell’epoca e materiali, vetri tagliati, per lo più.

Le lettere non parlano della guerra, sono autocensurate, il mio intendimento è far intravvedere attraverso il montaggio di ritagli di notizie, di immagini  da manifesti di propaganda, la guerra e il contrasto, lo stridore con le lettere dove la famiglia, il denaro inviato, la fotografia mai arrivata è oggetto di comunicazione. Il soldato è prigioniero del suo silenzio, della impossibilità di esprimere il tormento, la paura, il dubbio, la violenza, l’assurdità della guerra. Il soldato oggetto della guerra,il soldato oggetto della retorica tuttora.. I vetri rotti che coprono le immagini e le lettere sono legati da fili di metallo, perché niente venga dimenticato. Con la trascrizione di alcune frasi ho dato valore a parole, gesti,cose semplici. Con una regressione voluta, cosciente ho tracciato segni e macchie come quando bambina scarabocchiavo le “sue” lettere. L’emozione è stata forte, ma è stata guidata per lasciare la traccia, perché anche altri la seguano per non dimenticare.” Silvia Battisti

Biografia breve:

Silvia  Battisti nata a Sovramonte (BL), residente a Cinisello Balsamo ha conseguito il Diploma di Maturità Artistica presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia ha frequentato un corso di pittura con il maestro Santomaso all’Accademia di Belle Arti di Venezia ha conseguito il Diploma di Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano con la tesi: “Oskar Schlemmer e il teatro astratto”. Ha vissuto a Zurigo e a Varsavia dove ha seguito un corso di cinematografia. Ha seguito un corso sul pensiero ebraico all’ Università di Gerusalemme. Ha insegnato materie artistiche fino al ‘99. Ha ricevuto la medaglia d’oro per il disegno nel  1992 nel concorso internazionale di disegno e pittura della città di San Remo (Imperia).

La biografia completa è visibile alla pagina http://www.silviabattisti.com/bio.html

Spazio Tadini
+39 02 26 19 684 ;
+39 366 45 84 532;
ms@spaziotadini.it;
http://www.spaziotadini.it

Spazio Tadini e Midanza insieme in una sorprendente iniziativa culturale COREOGRAFIA D’ARTE INCONTRA MIDANZA

Milano, 8 novembre 2010
COMUNICATO STAMPA
Spazio Tadini e Midanza insieme in una sorprendente iniziativa culturale
COREOGRAFIA D’ARTE INCONTRA MIDANZA


Midanza, evento internazionale dedicato alla danza, suggella ulteriormente il proprio messaggio di cultura, intrattenimento, socializzazione, qualità e accessibilità alla danza, grazie alla partnership con Spazio Tadini e Coreografia D’Arte 2010 Festival Internazionale di Coreografia, Arte e Teatrodanza.
Momenti dedicati alla coreografia per una condivisione di obiettivi a favore del linguaggio e del mondo della danza. Spazio Tadini e Midanza creano l’occasione per incontrare e conoscere da vicino i protagonisti di questo mondo, già affermati o in ascesa, in un vero e proprio “meltin’ pot” di stili,
tendenze e novità. Un reciproco scambio culturale che prenderà forma nello spazio di via Jommelli dal 2 al 5 dicembre e a FieraMilanoCity dal 3 al 5 dicembre.

Nata dalla collaborazione di OpificioTrame e Spazio Tadini, Coreografia D’Arte 2010 – un’idea di Federicapaola Capecchi e Francesco Tadini – si pone l’ambizioso obiettivo di ricercare nuovi linguaggi per comunicare la danza e l’arte, attraverso lo scambio di processi creativi. In un incalzare di spettacoli, performance ed improvvisazioni nella nuova edizione di Coreografia D’Arte troveranno spazio una serie di laboratori, momenti formativi e di ricerca che avvicineranno danzatori, attori, musicisti, pittori, scultori e fotografi.
Coreografia d’Arte è un’ originale vetrina sul mondo della commistione e approfondimento di nuove tendenze provenienti dall’Europa che rendono la danza e il teatrodanza un linguaggio fondamentale e imprescindibile ed individua in MIDANZA il partner ideale per amplificare un messaggio che vuole sfatare l’opinione diffusa che la danza, il teatro e l’arte siano per i soliti luoghi e il solito pubblico.
MIDANZA 2010 ha trovato diversi punti di incontro con Spazio Tadini e Coreografia D’Arte 2010, una miscellanea di esperienze diverse tra realtà già affermate nel mondo della danza, che offrirà l’opportunità ad un pubblico eterogeneo di fruire di opere d’arte, coreografie ed eventi unici per il
contesto milanese.
In quest’ottica, spettacoli di Coreografia d’Arte saranno proposti a MIDANZA 2010 e performance di artisti di MIDANZA 2010 saranno ospitate a Spazio Tadini con l’obiettivo di fornire nuovi spunti e
creare nuove occasioni di contatto che porranno al centro dell’attenzione le esperienze di chi attraverso la danza e l’arte, esprime ogni giorno la propria passione.

SPAZIO TADINI
COREOGRAFIA D’ARTE 2010
2 – 3 – 4- 5 dicembre 2010
Spazio Tadini, Via Niccolò Jommelli 24, 20131 Milano
INFORMAZIONI PER LA STAMPA
ms@spaziotadini.it
tel +39 02 26 19 684
ufficiostampa@opificiotrame.org
tel +39 02 24 84 027
INFORMAZIONI PER IL PUBBLICO
opificiotrame@opificiotrame.org
tel +39 02 24 84 027
ms@spaziotadini.it
tel +39 02 26 19 684
COREOGRAFIA D’ARTE 2010 – ORGANIZZAZIONE
OpificioTrame & Spazio Tadini
http://www.opificiotrame.org ; http://www.spaziotadini.it
IDEAZIONE E DIREZIONE ARTISTICA
Federicapaola Capecchi
federicapaola@opificiotrame.org ; federicapaola@spaziotadini.it
tel +39 347 7134066
Francesco Tadini
MIDANZA
MIDANZA 2010
3 – 4 – 5 dicembre 2010
FieraMilano City – MIC Milano Convention Centre – INGRESSO: Via Gattamelata, 5 MILANO
INFORMAZIONI PER LA STAMPA
Burdman & Dais RP
Claudio Burdi, Riccardo Chiozzotto
midanza2010.press@burdman-dais.net
Tel. 02.45.49.88.84
INFORMAZIONI PER IL PUBBLICO
info@midanza.it
Tel. 02.48.15.242
http://www.midanza.it
MIDANZA 2010 – ORGANIZZAZIONE
Outlines S.r.l. – Via San Siro, 33 – 20149 Milano
info@outlinesonweb.comhttp://www.outlinesonweb.com
IDEAZIONE E DIREZIONE ARTISTICA
Juan Rivera
juan@midanza.it

MOSTRA FOTOGRAFICA: PSICHIATRIC HOSPITAL FRANKESTEIN

MOSTRA PERSONALE FOTOGRAFICA

di Giordano Morganti

“PSICHIATRIC HOSPITAL FRANKENSTEIN” Trilogia dell’essere o dell’esistere

Spazio Tadini
Milano, Via Jommelli, 24

DAL 27 OTTOBRE AL 27 NOVEMBRE 2010

Inaugurazione mercoledì 27 ottobre ore 18.30

con dibattito e una performance a cura di OpificioTrame, Federicapaola Capecchi

PRESENTI: Domenico Piraina Direttore mostre di Palazzo Reale, Sandro Parmiggiani critico, Giancarlo Ricci, psicanalista, Roberto Mutti critico fotografico

Spazio Tadini apre la stagione 2010-2011 portando per la prima volta a Milano la mostra fotografica di Giordano Morganti  “Psichiatric Hospital Frankenstein”  che fu esposta a Palazzo Te a Mantova. Una mostra che fece molto discutere fino a rischiarne la chiusura, per il suo contenuto e per un titolo evocativo di mostruosità frutto più dell’Uomo che della Natura.

“Non era stampato che il primo volume e già iniziarono i boicottamenti – racconta Giordano Morganti – pochi giorni dopo l’inaugurazione ci si mise pure l’avvocato a intentare una causa al fine di far chiudere la mostra e di ritirare la pubblicazione del libro, asserendo che non avevo autorizzazione dei degenti: accusa che fui in grado di smentire all’istante. In tutto questo caos mi venne di grande aiuto Vittorio Sgarbi, da poco assessore a Milan,  che trasformò, il tutto in uno scandalo. Fu grazie a lui che, a mostra appena chiusa, attraverso  il tam tam su internet, il Comune di Mantova fu costretto a riaprire i battenti poiché vi erano fuori più di mille persone desiderose di visitarla”.

Si tratta di una mostra che pone spunti di riflessione sulla capacità della società di creare mostri, stereotipi, artifici per demonizzare l’imperfezione dell’essere umano. Un’occasione per osservare l’individuo attraverso la lente di un obiettivo fotografico che ci allontana dalla ricerca spasmodica della perfezione, del bello, dell’eterna giovinezza e della felicità e ci impone l’accettazione del limite, della follia, della malattia, la gestione del dolore con il conforto che può dare solo la bellezza della verità, della carne in sé, dell’osservare una Natura senza pensieri, espressione solo di cicli stagionali.

Giordano Morganti presenta un triplice percorso “corpo, mente e anima”. Un viaggio trasversale che va dai ritratti di malati psichiatrici, alla raffigurazione dettagliata di parti anatomiche per poi sfociare in uno scenario agreste dove gli alberi fanno da protagonisti tra terra e cielo. Una mostra di forte impatto emotivo raccontata, illustrata e commentata dai critici Daniele Astrologo, Flavio Caroli, Raffaele Bedarida, Ando Gilardi, Roberto Mutti, Walter Schonenberger in un libro di tre volumi della Silvana Editore.

Un’opportunità per l’associazione culturale Spazio Tadini per riflettere sulla relazione tra la società e l’individuo, in particolare su come viene costruito e stereotipato il singolo intrappolandolo in esistenze fittizie e funzionali all’esistenza e alla sopravvivenza del gruppo sociale.

“Dopo 3 anni in cui rifiutai, in più occasioni, di esporre PH Frankenstein, dopo Palazzo Te a Mantova , sia in ambiti privati che pubblici – afferma Morganti – è arrivata quella che ho ritenuto essere la giusta occasione. Spazio Tadini, superfluo a dire, è a mio modesto avviso lo spazio culturale privato per eccellenza. Un crogiuolo dove tempo –spazio si coniugano in un continuo divenire, qui, a Milano, in questo luogo il senso di esporre è Assoluto. Questa mostra doveva aver luogo più in là, verso Natale, poi le vicende non artistiche riguardanti l’associazione mi fecero ritenere i tempi maturi. Voglio anche dire che, purtroppo, tanti di coloro che hanno saputo della mia decisione di esporre PH Frankenstein a Spazio Tadini, in questo momento delicato, tentarono di dissuadermi e questo loro incedere mi convinse invece che la mostra era assolutamente da fare, qui e ora! Io non sono tenero, e in primis  non lo sono con me, ho una visione del materiale umano assai poco nobile e PH Frankestein nasce proprio a denuncia di questa nostra società malata e ferita che troppo spesso vive solo di sovrastrutture devastanti trascurando il vero vivere. La maggior parte delle persone è affetta da una malattia gravissima: credono di essere nomali (sempre che a questo a vocabolo si possa dare un significato esaustivo) è lì che abita la follia peggiore, quella che diabolicamente annidata e sghignazzante attende di poter dare il meglio di sé, e questa follia risiede quasi sempre in quella persona dall’apparenza innocua ma dal pensiero debole”.

“Se osserviamo attentamente le fotografie di Giordano Morganti – scrive Sandro Parmiggiani , nel testo critico del libro edito dalla Silvana editore, pubblicato durante la mostra di Palazzo Te a Mantova scrive – vediamo che lui tuttavia non è mosso dal desiderio “sociologico” di documentare la nuova condizione dei liberati, ma piuttosto dell’esigenza di indagare, di scavare, con una sorta di amorosa crudeltà, che mai sembra avere tregue, dentro il volto della persona, eternamente vario, cangiante, diverso, ma sempre accumunato dai caratteri rpofondi di quell’umanità che ne sanciscono l’appartenenza a una comune famiglia…. Ciò che interessa è la condizione perenne dell’umano, che va al di là di ogni contingenza, di ogni appartenenza sociale, razziale o territoriale”.

Sulla questione normalità interpretata nella mostra“Psichiatric Hospital Frankenstein” Flavio Caroli afferma:

“La parola “anomalia” naturalmente non significa nulla. La nobiltà di questi percorsi (si riferisce a mente, corpo e anima n.d.r) è avventura e tragedia (o illuminazione, come dicono i buddhisti) e potenziale verità, come d’altronde è sempre la vita. Una verità che può in qualche misura essere capita solo dall’arte; quella, nella fattispecie, di Giordano Morganti. Dal volto, infatti, la tragedia si irradia nel corpo. In questi fianchi anchilosati, in questi equilibri precari, in queste magrezze o obesità è contenuto il mistero di un destino che è segregato nel suo bozzolo, nella sua prigione di carne, un bozzolo che fa male e può essere più espressivo di tutte le parole del mondo. A questo punto, Morganti ha l’intuizione più bella e, se posso dire così, più sconvolgente. Punta l’obbiettivo sui dettagli, perché è lì, nei dettagli, che la natura infinite volte sceglie le vie per le quali le cellule dovranno evolversi: una via che – per destino – potrà essere brevemente salvifica, parzialmente felice, o mortale. Così, dita e denti dentro una bocca possono compartire l’immagine come un dipinto di Mondrian, e un gomito o un’anca possono vivere nello spazio come forme classiche irragionevolmente perfette. Quello, dice Morganti, è il “colpo di dadi” della crescita delle cellule nello spazio. Tutto ciò rinvia però alla natura, al bosco, agli alberi, che crescono nel vento, e certamente hanno un’anima. Lì, il miracolo delle diversità è infinito, vive in cortecce fitomorfe, in tumori benigni e bellissimi del legno, nel sontuoso schermo delle foglie divise fra la luce e l’oscurità. Misterioso progetto e appunto oscuro destino dell’Essere che si manifesta nell’universo conoscibile. Da tutto questo, Morganti trae infatti una conclusione sorprendente e affascinante. La chiave di ogni verità è custodita da Frankenstein, “mostro” (cioè apparizione) e re di ogni anomala crescita cellulare. Dice Morganti che il Frankenstein del primo millennio è stato Gesù Cristo. Credo di averlo stupito il giorno in cui – a conferma – gli ho ricordato che la prima immagine in assoluto di Gesù Cristo fu quella graffita da un suo nemico, che lo raffigurava con la testa di asino. Frankenstein, appunto”.

Sulla ricerca del bello, dell’estetica e sul racconto della verità scrive invece Roberto Mutti sulla mostra di Morganti intervistandolo:

“Oggi tutti, ma soprattutto i giovani, sono molto interessati ad apprezzare opere di alta densità estetica, quindi io ho agito proprio partendo da questo punto di vista: il mio lavoro è una sorta di cavallo di Troia grazie al quale, prendendo spunto dall’estetica, faccio passare un discorso sociale. Il risultato non è però estetizzante perché il libro sulla follia è desolante e senza pietà, proprio come la realtà vissuta dalle persone che ho fotografato con tanta difficoltà. Chi osserva si sente a disagio di fronte a quei volti certo non belli né delicati perché viviamo in una società che rifiuta ogni diversità classificandola come mostruosa”. Qui il riferimento è dichiaratamente letterario: Giordano Morganti cita Mary Shelley e il personaggio da lei creato in “Frankestein”, una creatura buona trasformata dagli uomini in un essere malvagio. In effetti esiste più di un’analogia fra il lavoro letterario e quello di questo fotografo che dichiara di essere molto veloce nella fase di ripresa ma poi lento e meditativo in quella della successiva elaborazione. “Basta sapere che ho dedicato cinque anni al lavoro sui corpi mentre quello sugli alberi l’ho iniziato nel 1989 e forse l’ho finito adesso. Per quanto riguarda la ricerca sulla follia, dai primi scatti del 1977-79 sono passato a quelli del 1991-92 e ai più recenti del 2004-2007. Fra riprese furiose di tre giorni e molte riflessioni, sono passati come niente trent’anni: questi sono i miei ritmi”. Questa dilatazione dei tempi, così in controtendenza rispetto a quanto abitualmente viene richiesto nella nostra epoca, permette di ragionare attorno a un tema complesso come quello della contemporaneità e del suo significato: “Per me contemporanee sono le opere che restano tali senza subire i mutamenti del tempo e ancora hanno cose da dirci. E’ invece un errore confondere le opere contemporanee con quelle più recenti: Vittorio Sgarbi mi ha chiesto una volta perché mi capita di privilegiare le fotografie di trent’anni fa rispetto a quelle appena scattate, ma per me il problema è diverso perché in ogni immagine voglio ritrovare il contesto che le dia significato e fondamento. Avendo iniziato a realizzare le mie fotografie più importanti quando ero appena diciannovenne, non ho le paure di chi si sente vecchio se vengono pubblicati lavori realizzati anni fa. E’ che, piuttosto che uscire a ogni costo, semmai preferisco attendere fino a quando posso mostrare ricerche che ritengo complete e ben strutturate”. Tutti questi discorsi, però, non sono fini a se stessi perché Morganti parla senza mai perdere di vista il rapporto fra tecnica ed estetica: “Diceva André Kertész che ogni fotografia è fin troppo dimensionata rispetto alla nostra capacità di percezione e questo spiega lo strano effetto iperrealistico provocato dal digitale. Il suo limite è, paradossalmente quello che si ritiene un suo pregio, l’eccesso di definizione. Questa è la ragione per cui non uso il digitale – visto che non ho finora cercato effetti di tal genere – ma anche perché mi sembra un po’ come una donna liftata: se proprio ti piace, sposala”.