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Il 15 novembre ore 18.30 nuove esposizioni: Fausta Dossi e Luciano Mereghetti con La Fuga e Segni generazionali

LA FUGA

MOSTRA PERSONALE

DI

 

FAUSTA DOSSI

Inaugurazione 15 novembre 2011 ore 18.30

Aperta dal  15 al 3 dicembre

Dal martedì a sabato dalle 15 alle 19

Via Jommelli, 24 Milano (MM2 Piola-MM1 Loreto – bus 62/81) tel.0226829749

 I segni e i loro significati, così come le loro simbologie si moltiplicano nell’opera di Fausta Dossi per raccontare una realtà in cui tempo e spazio si annullano per proporre una dimensione onirica che raccoglie in sé la condizione dell’uomo contemporaneo. L’artista ne racconta la presenza attraverso l’icona di un uomo che corre. Sembra fuggire da un continente, da un’area geografica all’altra, dagli attacchi di un aeroplano, dalla terra verso il mare o verso il cielo. Ma da cosa fugge? Dalla guerra? Dalla sua nazione di appartenenza? Dalla realtà? Per andare dove? Per raggiungere quale obiettivo? Quale meta, quale traguardo, quale spiaggia?

Un argomento, quello della fuga, che è tanto d’attualità, che racconta di esodi di popoli, di emigrati clandestini, di uomini che scappano dalla fame, che fuggono dalla povertà. Un movimento perpetuo, un affanno continuo, una corsa che non si trasforma mai in un cammino, in viaggio, in percorso. Per portare in un luogo che non è mai oggettivo, ma solo ed esclusivamente interiore. Trovano allora senso, in questo correre, le sedie scultura che Fausta Dossi propone in seno a questa esposizione. Sono collocate qua e là, sparse tra un’opera e l’altra a creare un invito, forse un’esortazione a fermarsi, a sottrarre tempo alla fuga, a prendere fiato.

La relazione tra le tele esposte e le sedie diventa un dialogo tra due concetti diversi: andare/ fermarsi, fuggire/affrontare. Le sedie esortano: fermati! Siediti! Affronta! Rappresentano l’unica alternativa all’interrogativo del “da cosa fuggo”? Dove vado? Sono, nel contesto espositivo una presenza importante, imponente. Le loro forme squadrate, dagli schienali sontuosi sembrano troni di principi fiabeschi, di paesi delle meraviglie, dove, nella rigida struttura si insinua sempre un elemento mobile. Spesso è un disco che gira e, improvvisamente, cambia aspetto alla sedia, modifica la postura, così come potrebbe modificare il pensiero di chi si siede. Rappresentano dei troni per fuggitivi, delle fantastiche poltrone su cui adagiarsi e lasciar scorrere i pensieri anche se tutto intorno corre e fugge e forse mai ritornerà. Tuttavia non c’è mai niente di triste nel lavoro di Fausta Dossi, c’è sempre una componente ludica e giocosa, un colore che restituisce tono, speranza, atmosfera ed emozione, anche là dove sembra non poter esserci spazio alla fantasia, altro da vedere se non la paura ed il dolore. Il rifugio non si trova mai, ma forse, per Fausta ciò che conta non è questo, ma il senso del divenire che si consuma inevitabile e cambia situazioni e persone trasformando tutto e lasciando, come unico luogo rifugio, la nostra mente in cui trovare riposo ed energia per un nuovo traguardo.

MELINA SCALISE

Mostra personale di

Luciano Mereghetti

 S E G N I  G E N E R A Z I O N A L I

Inaugurazione 15 novembre ore 18.30

Dal 15 novembre al 3 dicembre 2011

Da Bob Dylan a Malcom X, da Muhammad Ali a Twiggy.

I personaggi o le icone di una generazione in una mostra per porre l’attenzione anche su quelle che stanno segnando l’era contemporanea

 La generazione di Luciano Mereghetti ha vissuto a cavallo degli anni 60-70 eventi particolarmente significativi che hanno lasciato un segno, non solo nell’anima. Segni forti e trasversali che si sono offerti a molteplici chiavi di lettura e interpretazioni, segni che continuano a rimbalzare da una generazione
all’altra, da un’epoca all’altra diventando contemporanei e dimostrando ancor oggi la stessa energia di allora. Rintracciare nei quadri di Luciano Mereghetti questi segni e il loro potere evocativo è ciò che si propone la mostra, nient’altro che una personalissima visione di un illustratore convertitosi alla
pittura. O solo, semplicemente, di un osservatore che ha cercato di raccontare un periodo della sua e della nostra storia. Senza nostalgia, offrendo lo spunto per riflettere e capire come mai quel periodo è ancora così attuale nell’immaginario collettivo.
MUSICA, MODA, SPORT
Per l’immaginario di Luciano Mereghetti, confuso nell’immaginario collettivo di un’adolescenza confusa, niente è stato più potente, liberatorio e rivelatore dei cambiamenti che si sono verificati in quegli anni, soprattutto nella musica, nella moda e nello sport. Miti che si sono creati, icone che sono entrate per sempre nel cuore e nella mente, simboli di un viaggio culturale ed emotivo che proprio in quel preciso momento ha cambiato destinazione, concedendosi altri orizzonti, più suggestivi, e inserendosi in scenari e contesti sociali più ampi e internazionali. Il percorso della mostra – che non vuole essere né didascalico, né tantomeno descrittivo o esaustivo di una certa epoca (a questo ci hanno pensato altre mostre specifiche) – si snoda attraverso una serie di opere che reinterpretano alcuni miti e icone di allora (e di oggi), o ne traggono ispirazione. Da Muhammad Ali a Twiggy, da Bob Dylan a Paco Rabanne, uno sguardo sui paesaggi interiori di una generazione che non ha mai
smesso di sognare.

INAUGURAZIONE ANDRE’ CHE ISSE – 27 ottobre 2011 dalle ore 18.30 fino alle 21.30.

DANZATORI DI LUCE

dal 27 ottoble all’11 novembre 2011

performace con alla viola Paolo Botti.

Spazio Tadini, via Jommelli, 24

apertura da martedì a sabato dalle 15.30 alle 19

Il pensiero e i muscoli di un danzatore hanno attraversato lo spazio per tramutarsi in oggetto altro, in rappresentazione di quel legame tra corpo e mente capace di accendere o spegnere un’emozione come schiacciando l’interruttore della luce.
Il lavoro di André Che Isse è il risultato di due percorsi artistici diversi: danza e pittura. Entrambi convivono in lui e nella tela, dove traspone la sua visione del corpo e rappresenta la condizione umana.

Danzatori di luce Personale di André Che Isse

27 ottobre – 11 novembre 2011
Inaugurazione giovedì 27 Ottobre 2011 ore 18,30
con performance accompagnata dal vivo dalla viola di Paolo Botti

 

Il pensiero e i muscoli di un danzatore hanno attraversato lo spazio per tramutarsi in oggetto altro, in rappresentazione di quel legame tra corpo e mente capace di accendere o spegnere un’emozione come schiacciando l’interruttore della luce.

Il lavoro di Andrè Che Isse è il risultato di due percorsi artistici diversi: danza e pittura. Entrambi convivono in lui e nella tela, dove traspone la sua visione del corpo e rappresenta la condizione umana.

Ho creato una danza di immagini pittoriche – dice Andrè Che Isse – ricercando nella plasticità del corpo e nel disegno geometrico degli arti. Dopo 16 anni di danza ho sentito la necessità di fissare il pensiero sulla tela. Trovai una tecnica che rappresentasse il tono muscolare del corpo: corda cucita su tessuto intelaiato, che mi permettesse di rivelare la plasticità coreografica nella sua materia, nel suo geometrico perimetro di filo”.

Il tessuto e il filo sono elementi importanti nel suo lavoro. Al corpo è data la possibilità di animarsi perché esiste un collegamento tra mente e muscolo, tra materiale e immateriale. Il filo conduttore scelto da Che Isse è una corda che ne disegna la figura, i suoi muscoli e ne rivela, al tempo stesso, la complessità di legami e vincoli a cui il corpo deve sottomettersi. Per compiere questo svelamento Che Isse usa la luce:

La luce posta dietro la tela svela l’anima, manifestando il “labirinto” dell’artefice. Percorsi molteplici di filo in una costruzione geometrica, un’architettura vista in pianta, stanze infinite della mente in complesse connessioni, sinapsi, come punti di fuga in un quadro rinascimentale. Due opere diverse in una stessa tela”.

Un intreccio che è una trama, un nuovo ordito sulla tela, che colloca quel corpo nel pieno delle sue possibilità espressive, all’interno di una storia, di un ambiente sottoposto a rigide regole fisiche e matematiche. Tutto questo si scopre agli occhi dell’osservatore, quando le tele si illuminano. Allora quello che prima si vedeva, ovvero un corpo che aveva trasformato e liberato in un gesto la sua energia psichica, in una visione bidimensionale, piatta, pesante e priva di ombre o chiaroscuri, si trasforma, in altro. Il corpo acquista volume, rilievo, colore, calore, svela i suoi tratti compositivi e i fili che lo reggono, quasi lo imprigionano, evocando uno scenario da teatro per burattini. Come nei pittori classici, nel lavoro di Che Isse, la luce acquista dunque una simbologia forte che entra nel corpo e lo colloca in un nuovo spazio nuovo, vicino al divino, così come facevano i pittori del XV secolo che davano solo ai personaggi vicini a Dio il potere di emanare luce. Ma questa sua vicinanza alla divinità ne evidenzia il suo dualismo tra autore e attore.

Emerge così una dialettica: la luce è ciò che scopre la trama, i legami che vincolano il corpo, ma dallo svelamento nasce un nuovo senso dell’essere e di libertà.

I lavori di Che Isse tradiscono questa ricerca di libertà anche quando non sono retro illuminati. Esprimono un desiderio dell’uomo di oltrepassare i limiti imposti dalla fisiologia e dalla “trama” di cui l’artefice rimane misterioso: il divino? Noi stessi?. Lo si evince da alcune pose o movimenti impossibili dei corpi o di parti di esso che Che Isse ha dato ad alcune sue figure.

Egli gioca con il vedo non vedo, con il sono e appaio, con il posso e non posso.

L’interruttore, strumento dell’osservatore, trasforma lo stesso in deus ex machina, colui che interviene svelandone la trama e può decidere in maniera decisiva sulla storia o la coreografia e, quindi, il movimento del danzatore sul palcoscenico. L’osservatore – uomo può quindi decidere di accendere o spegnere la luce, di guardare dentro o limitarsi a guardare lo specchio, di riconoscersi o conoscersi.

Shakespeare lasciava che Amleto si tormentasse con la domanda “Essere o non essere?”. Ieri come oggi la danza tra i due opposti rimane, ma con la consapevolezza che abbiamo acquisito più strumenti di illuminazione e che siamo, forse, noi stessi a scegliere di smorzare la nostra libertà ed intensità espressiva restando, di conseguenza, al buio.

Melina Scalise
ANDREA CHE ISSE
Dal 1996 al 2011: 20 personali di cui 14 in cui era sempre correlato il lavoro pittorico alla danza.
2006 – Galleria Annovi-Arte Contemporanea (Sassuolo, Mo) personale “I Danzatori degli dei”, venti tele retroilluminate davanti alle quali avvenivano performance con musicisti dal vivo.
2010 – Spazio Tadini, Milano. Collettiva “La Natività”
per la danza:
Acquisita una base di tecnica tersicorea ‘Classica’ da maestri quali Jozo Borcic, Robert Strajner, Deborah Weaver, René LeJeune, ho condotto per una quindicina d’anni ricerca sulle qualità del moto, sulla plasticità del corpo, sulla geometria degli arti e delle direzioni nello spazio acentrico, in fieri ad architetture coreografiche di matrice astratta.
Ha danzato le sue ideazioni in differenti appuntamenti:
RECITARCANTANDO ’86 di Cremona – ‘Omaggio a Kingo’ presso la galleria d’arte Il Mercante a Brera (Mi);
BIENNALE ’88, Palazzo Re Enzo a Bologna; allestimento estivo del teatro Romolo Valli a Reggio Emilia, 1989; seminario tenuto all’ACTOR STUDIO di Roma nell’ ’89; rassegna culturale estiva dei ‘Cortili’ a Modena, 1990;
BIENNALE DES JEUNES CREATEURES D’EUROPE DE LA MEDITERRANEE; MARSEILLE 1990;
sala ‘Corto Circuito’ TIRDANZA, 1991, Modena;
sala ‘Corto Circuito’, TIRDANZA, 1992, Modena;
auto-video-produzione 1992;
partecipazione con video a DANZA VIDEO 1992 Milano;
auto-video-produzione 1993;
libreria Croce a Roma con la presentazione di Giorgio Albertazzi;
auto-video-produzione 1994;
spettacolo teatrale ‘Sotto il segno di Caino’ al Teatro Spazio Zero di Roma per la regia di Giorgio Albertazzi, gennaio 1995;
‘Performance per Kingo’ presso lo Studio D’Ars a Milano, 1996;
performance al Forte Crest di Milano, estate 1996
Orario apertura mostra: da martedì a sabato 15:30-19; in occasione di eventi serali fino alle 22:30