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GENNY KODONIDOU – Ritorno al Mediterraneo a Spazio Tadini

L’artista espone alla  mostra a Spazio Tadini patrocinata dal Ministero della Cultura della Grecia, dal Club Unesco di Treviglio e Bergamo, in collaborazione con il Centro Elleco di Cultura e la Comunità Ellenica Per affrontare, anche su un piano culturale, i cambiamenti economici, politici e sociali in corso nell’area del Mediterraneo che vedono la Grecia fulcro della crisi dell’Eurozona.


Favole e bugie per adulti

di Maria Kenanidou
Storica dell’arte

Le creazioni di Jenny Kodonidou rappresentano il mondo distrutto e frammentato dell’artista, un mondo appeso tra fantasia e realtà, ragione e assurdità. Le sue opere sono registrazioni associative d’ immagini e suoni quotidiani che vengono a contatto con i ricettori dell’artista, quindi modellate e trasferite, coesistenti e sparpagliate, sulla superficie della sua pittura, beffando l’entropia del caotico mondo contemporaneo. Attraverso un vocabolario strutturato da formare una lingua, la sua pittura-narrazione emana uno spirito gentilmente sovversivo e giocoso e decifra il suo schema concettuale e ideologico rivelando umorismo e intimità. L’uso qualitativo dei titoli, con lo scopo di identificare correlazioni, in combinazione con i suoi mezzi di espressione, funge da  indirizzo esplicativo che rafforza il suo commento caustico e scherzoso. La Kodonidou tenta di invadere il nostro processo di percezione, usando una poetica scorciatoia tipica dei sentieri, con i suoi avventurosi momenti di pensiero e sperimentazione che sembrano ovvii e invece non lo sono perché con le sue sovrapposizioni di palinsesti invalida e annulla le azioni precedenti.  Alle volte interviene  violentemente, interrompe, tace, copre, rafforza, nasconde e sacrifica forme e qualità che emergono durante il processo di composizione. Forme e qualità che mette in evidenza e le integra a seconda della griglia concettuale che ha fabbricato. Ha una conoscenza approfondita della materia che tratta e lo si deduce dalla evidente lotta in atto nelle suo opere. Essendo il suo obiettivo ultimo l’equilibrio e  l’armonia della composizione, l’eguaglianza e la prudenza nella distribuzione dello spazio  pittorico, come anche l’ accumulo di forma e material la Kodonidou riesce sempre nel suo sforzo di bilanciare le tensioni morfologiche, linguistiche e cromatiche.
Con pezzi di scrittura, tentati gesti, frammenti, contemplazione poetica e sagome interrotte deformate e immerse nella pittura, demolisce e ricompone simboli urbani, frammenti umani o animali, facce ed emozioni di una realtà distrutta tali da rendere le sue opere una critica socio – politica sulla perdita dell’integrità e dell’unità collettiva o individuale che sia. Penetra il suo tema usando “sketches”, colori, tracce, installazioni, collage, incorporando fotografie prese da giornali, settimanali, libri, carte da regalo, brochure, continua infine usando pezzi di testo facce e figure di aristocratici, animali, cartoni  animati e giocattoli. A prima vista la Kodonidou sembrerebbe attingere, per la creazione delle sue opere, da un mondo di favole e avventure, ma una attenta analisi rivela un registro immenso d’impressioni e storie che rispecchiano le memorie del nostro caotico mondo contemporaneo, senza inizio e senza fine. Le favole ed i palinsesti di pensieri e espressioni, che incorporano, per mezzo delle sue memorie e attraverso la sua abilità di creare dei miti, l’avventura concettuale del suo modo di pensare e presentano il celato potere di un enigma nel tentativo di scrutinare verità e desideri nascosti, rivelando le bugie di ognuno.

Biografia: Jenny Kodonidou

Nata ad Atene. Dopo la laurea con lode alla Scuola di Belle Arti dell’Università Aristotele di Salonicco, sotto la  supervisione di G. Golfinos, frequenta sia i corsi di scenografia  del maestro A. Vettas che quelli di stampa del maestro M. Giannadakis. Ha ricevuto borse di studio dal Rotary Club di Salonicco e dal I.K.Y ( Istituto nazionale ellenico per le borse di studio). Dal 2005 è attiva nel campo scenografico teatrale.

Premiazioni

2006 Primo premio dell’ Istituto d’ Arte Tellogleio di Salonicco
Menzione d onore insieme a C.Karaoglani e E. Mourgia del centro di arte
Contemporanea.
Menzione d’onore della quarta Biennale delle Accademie di Belle Arti
elleniche.

Mostre personali

2011      “Favole e bugie per adulti”, Galleria Zouboulaki, Atene

Mostre collettive

2011      “Small Paintings”, Galleria Zouboulaki, Atene
“Summer” 2011”, Galleria Zouboulaki, Atene

2010      “Small paintings”, Galleria Zouboulaki, Atene
“Summer 2010”, Galleria Zouboulaki, Atene, “Orfeos 20” Galleria, Xanthi

2009      “Le figure umane nell’arte” , Tecnopoli Gazi, Atene
“DEMO #1”, Spazio Dynamo Progect, Salonicco
“Giovanni artisti”, Galleria Zina Athanassiadou, Salonicco
“Action Field Kodra, Salonicco

2008      “Small Paintings”, Galleria Zouboulaki, Atene
“Biennale mediterranea di Cologna”, Municipio di Cologna
“Laboratorio”, Statt museum, Cologna
“Faktory Gallery” Cologna
“Summer 2008”, Galleria Zouboulaki, Atene

2007      “Graduates 2007” Museo della Macedonia di Arte Contemporanea,         Salonicco
Prima biennale di Salonicco “Public Screen”, Salonicco
Mostra internazionale del Canada, organizzata dalla ambasciata greca di
Toronto, Toronto.
“Notte Bianche”, organizzata dalla ambasciata greca di Toronto, Toronto

2006      “Coesistenza” Galleria Zina Athanassiadou, Salonicco

2005      “Giovani artisti a Tellogleio”, Istituto  d’Arte Tellogleio, Salonicco

VIVIEN DIMITRAKOPOULOU – Ritorno al Mediterraneo – mostra a Spazio Tadini

L’artista espone nella mostra a Spazio Tadini patrocinata dal Ministero della Cultura della Grecia, dal Club Unesco di Treviglio e Bergamo, in collaborazione con il Centro Elleco di Cultura e la Comunità Ellenica Per affrontare, anche su un piano culturale, i cambiamenti economici, politici e sociali in corso nell’area del Mediterraneo che vedono la Grecia fulcro della crisi dell’Eurozona.

Sensualità e scetticismo

di Ourania Panoutsou
Art Historian
Alumni of The Courtauld Institute of Art

Le  opere presenti in questa mostra sono state create tra il 2011 e il 2012. Le sue sculture in terracotta, alluminio e luci al neon colorati sono sapientemente differenziate e profondamente mistiche.

Questi lavori appartengono ad un ciclo intitolato “Love Me’ create, a detta dell’artista,  per esorcizzare la morte, ma anche quale mezzo di comunicazione politica a commentare l’attuale crisi greca.

L’opera intitolata “Bass and Voice” rammenta un giocoliere che si beffa dell’attuale situazione  politica greca. I cittadini sono intrappolati nella stessa maniera con cui egli tiene le sue mani sulla corda e la pietra sulla quale posa rappresenta lontane reminescenze del glorioso e antico passato.

L’opera denominata “Senza titolo” rappresenta una donna incinta. Il blu vivace, e l’uso del rosso che caratterizza e distingue le sue zone erotiche, costituiscono una memoria diretta delle sculture di Niki de Saint Phalle.

Ci vuole un grande coraggio per una giovane donna per eccellere nell’ arte plastica.
E sempre stato di supposto dominio riservato agli uomini. Vivien Dimitrakopolou con una profonda maturità adopera una vasta varietà di materiale per forgiare i suoi pensieri profondi.

Un busto chiamato, con purezza ed ingenuità, “Padre”, rappresenta una figura maschile con l’ aureola di neon in testa. L’allusione è alla sacra figura paterna onnipresente nella giovane vita dell’artista, probabilmente l’equivalente di un Dio, evidentemente un protettore e una risposta alla fragilità umana.

Dimitrakopoulou dimostra una tecnica quasi naturale nel formare i corpi delle sculture. Le sue mani abili formano corpi minimal, ma sensuali e lussuriosi. Non ha paura di incorporare elementi estranei come il neon. La Dimitrakopoulou è allo stesso tempo minimal.

Queste opere sono molto ben pensate, niente e dato per scontato e tutto è sia veramente sofisticato che confortante.  Una visione, quella di Vivien Dimitrakopoulou,  che contempla un malcelato scetticismo direi.

Breve Biografia

Vivien Dimitrakopoulou  è nata Londra nel 1984, risiede e lavora in Grecia ad Atene. Si diploma alla Higher National B-Tec  in pittoura. Nel 2004 è ammessa alla School of Fine Arts di Atene presso la facoltà di scultura con il professore Lappas. Nel gennaio 2006 espone per la prima volta in una collettiva ad Atene in una Galleria Medusa. Si laurea nel 2011.

MOSTRA DI AURELIO GRAVINA – GIUNGLIA METROPOLITANA

Dal 22 marzo al 16 aprile 2011

Inaugurazione
22 marzo ore 18.30

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L’habitat artificiale dell’uomo, per Aurelio Gravina, ha il carattere della giungla. Bestie più o meno feroci si muovono tra le case e sovrastano panoramiche cementificate. Forse sono lì in perlustrazione, forse smarrite o cacciatrici in nuovi territori, forse sono solo metafora dell’uomo snaturato.
L’uomo e l’animale si contendono un ruolo da protagonisti nelle tele di Aurelio Gravina. Costringono chi guarda a un confronto diretto e ravvicinato con la bestia o con lo sguardo di uno sconosciuto. I soggetti compaiono come di passaggio e si avvicinano all’osservatore, a volte, fino alla deformazione visiva.
Le figure entrano nella scena pittorica da destra o da sinistra, dal basso o dall’alto e si pongono all’osservatore quasi sempre come se fossero in movimento, un attimo prima di fermarsi. Il colore e la pennellata sono gli  alleati di Gravina per ottenere questo effetto.  La stesura col pennello è rapida, il colore corposo, multistrato e qualche volta colato. Che sia l’uomo o la bestia, entrambi emergono da sfondi scuri, cupi, che abbozzano spesso lontani contesti metropolitani , o spazi irreali, estranianti. Nelle tele di Gravina capita di trovare un leone in città, o un essere umano raffigurato dall’alto come se ad osservarlo non sia un altro uomo, ma piuttosto un animale: un uccello esploratore.
L’uomo e la bestia si confondono, si mescolano, si contendono la scena. Entrambi condividono uno stesso destino e una stessa sensibilità con l’unica differenza che non l’habitat animale, ma la casa dell’uomo, come un cancro, si è moltiplicata a dismisura fagocitando anche territori della mente.
L’occhio dell’animale e dell’uomo sono come persi nel vuoto. L’espressione è quasi interrogativa e stimola l’osservatore a porsi delle domande.  I personaggi è come se entrassero improvvisamente nella tela del pittore. Sembrano catturati nel corso di una sequenza cinematografica. Le figure, dai contorni volutamente più o meno incerti, come fotografie mosse, azionano il desiderio di capire a quale storia appartenga il frame proposto. E’ un pasto appena consumato, come il quadro del leone che si muove sovrastando la città? E’ la fuga da un fantomatico zoo, come il ritratto dello scimpanzè?
Le domande restano aperte. Specie quando gli animali sembrano diventare un tutt’uno con le architetture, quasi consustanziali. Le città appena abbozzate, o i palazzi sembrano gli unici testimoni della storia del vivere, l’unica presenza oggettivamente immobile, per loro natura intrinseca. Tuttavia Gravina mette in discussione persino la loro staticità e per farlo usa la luce.
I chiaroscuri sono un elemento importante della sua composizione pittorica. I bianchi puri delineano le forme e le figure. Le aiutano ad emergere dall’oscurità e da spazi indeterminati. Questa luce è fredda, non ha nulla di naturale, nonostante la gran parte dei lavori  raffiguri  scene all’aperto. In qualche caso, la luce sembra quella di un neon  puntato violentemente davanti al soggetto ritratto, scoprendolo e sorprendendolo in un atto di intimità, nella sua nudità.
Non c’è nulla della positività del movimento e del dinamismo delle città futuriste nelle opere di Gravina. La sua pittura è vicina al racconto dei contesti metropolitani di molti artisti contemporanei come Papetti, Guaitamacchi, Ottieri, Cerri, dove il contesto urbano viene raffigurato come luogo di perdizione, di annientamento, di estraneazione, di declino. Emblematica la tela di Gravina, “Promenade”   dove un leone sovrasta una città a perdita d’occhio su cui pesa un cielo rosso sangue che abbandona ogni riferimento simbolico al celeste e alla celestialità per diventare carne grondante.
La città è per Gravina meta di uomini e animali. E’ come se la migrazione di massa verso i grandi agglomerati urbani riguardi tutti gli esseri viventi,  alludendo a campagne e savane desertificate, inospitali. Tutto gravita attorno alla città e l’osservazione del paesaggio artificiale da parte dei suoi abitanti sembra contenere un interrogativo comune a uomini e animali: “dove stiamo andando ?”.
Ognuno di loro è passeggero di  una grande arca di Noè in attesa che si definisca o raggiunga una meta. Il somarello in città, ritratto in una delle tele di Gravina, ne è un esempio significativo. L’animale guarda con aria smarrita verso l’osservatore, alle spalle la città. L’asino, da sempre è  legato all’uomo attraverso il lavoro contadino, è chiaramente decontestualizzato, espropriato della sua identità, del suo ruolo. Rivolgendosi all’uomo che lo guarda fuori dalla tela sembra cercare un nuovo padrone: forse spera di trovare l’uomo perduto.
Melina Scalise

La mostra a Spazio Tadini sarà composta da diversi pezzi di grandi e piccole dimensioni.
Catalogo in galleria.

Breve Biografia
Aurelio Gravina, nato a Francavilla Marittima, vive e lavora a Milano. Scenografo, attore e regista, laureato all’Accademia di Belle arti a Milano, lavora in teatro con il gruppo Out Off.
In particolare con il poeta e pittore Giancarlo Pavanello nel 1979 crea il gruppo Teatro di Babele che lavora sperimentando l’uso della scrittura poetica nel teatro e nella pittura.
Dopo diversi anni di lavoro teatrale, come regista, scenografo ed attore (dal 1981 al 1986 collabora con il Teatro Out Off e con lo Studio Azzurro), nel 1995 comincia la ricerca nel campo pittorico tentando di fondere le tecniche sperimentate in teatro, ovvero usando la tela come spazio scenico dove il segno pittorico diventa attore.
Nel 2004 insieme a Giovanna Pace e Lorenza Marenco fonda a Milano l’ Associazione Culturale Itinerari d’Arte dove espone le sue opere.

Per informazioni
Melina Scalise
Spazio Tadini
http://www.spaziotadini.it
tel.022619684/3664584532