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Reportage: Andrea Simeone mostra personale

Mercoledì 8 maggio 2019, alle ore 18:30, apre al pubblico la Mostra fotografica “Va tutto bene” di Andrea Simeone a cura di Federicapaola Capecchi: sei reportage, video, testi e incontri. La mostra fa parte di PHOTOFESTIVAL 14TH In mostra stampe, provini a contatto, strutture verticali dove le fotografie escono dalle cornici per avvolgere e coinvolgere lo spettatore, stampe in piccolo formato Ipad dove gli hashtag stondano le nostre rigide convinzioni di sapere davvero cosa succede nel mondo, video, testi. Una articolazione narrativa anche visiva, che metta in discussione la barriera dell’opinione diffusa.

campo ASHTI di Displaced, nei pressi di Arbat, Kurdistan iracheno, Foto Andrea Simeone

A 20 mm da te, Rohingya, Not to be forgotten, This is my home, The Path, Sleeping After Ebola, sono alcuni dei Reportage in mostra. Una selezione accurata di alcuni importanti lavori di Andrea Simeone per interrogarsi e riflettere su tematiche sempre attuali e importanti. Una scelta narrativa di fotografie, in trame di racconto diretto, per mettere in risalto la capacità della fotografia di reportage di essere strumento di indagine e approfondimento; di farsi domanda, scrittura, ricordo, racconto, informazione capace di far oltrepassare barriere e preconcetti. Un percorso che ci porterà a Sulaymaniyah nel Kurdistan Iracheno. Entreremo nel complesso di Amna Suraka, che tradotto significa checkpoint rosso, un complesso di edifici dove la Mukhabarat, agenzia di intelligence di Saddam Hussein, ha detenuto e torturato migliaia di curdi dal 1986 al 1991.

sleeping after ebola, Andrea Simeone

Ci muoveremo da Sulaymaniyah verso Halabja, nei campi profughi di Arabat, dove vivono Curdi, Iracheni, Siriani, Arabi, Yazidi, religioni diverse, culture diverse. Dove gli sfollati iracheni per legge non possono modificare le tende e i rifugiati siriani hanno la facoltà di rendere la casa più accogliente; entrambi vivono, però, nella stessa gelida pianura d’inverno e torrida d’estate. Muoveremo i nostri occhi in lembi di terra che oggi ormai 30.000 persone chiamano comunque casa. Capiremo cosa è davvero un lebbrosario così come l’ebola. Ci chiederemo, dinanzi ad un volto a 20 mm da noi, che cosa è un sorriso in un campo profughi e ci prepareremo con i Rohingya all’arrivo della stagione delle piogge.

campo ASHTI di Displaced, nei pressi di Arbat, Kurdistan iracheno, Foto Andrea Simeone

In mostra una storia di immagini in relazione all’uomo, l’uomo che agisce e risponde; in relazione al corpo. Perché  “ […] il corpo è il luogo delle immagini […]”Hans Belting

Reportage. Oggi. Nel mondo. Andare incontro ad un territorio, a persone, a militari, a volontari. Scoprire e ascoltare storie. Saperle poi riportare. Sollevando dubbi. Nessuna verità da spacciare a buon mercato, ma domande da porsi. Fotografie da guardare e non solo da vedere, fino a comprenderle. Fino a volersi interrogare anche sui meccanismi che impongono a determinati territori, ciclicamente, guerre, povertà, fame e analfabetismo” – scrive Federicapaola Capecchi, curatrice della mostra – “Una mostra che attraversa alcuni degli ultimi reportage di Andrea Simeone per cercare di tessere la trama di un unico racconto, quello degli uomini, che siano vittime, carnefici, volontari. Gli uomini che faticano ogni giorno un universo, praticandone le improbabili rotte. Una mostra che vuole porre l’accento sulla conoscenza più che sulla sensazione. Motivo per cui ruolo da protagonista, oltre alle fotografie, lo hanno testi e video. L’obiettivo è stimolare e comprendere, non emozionarsi o commuoversi. L’obiettivo è nessun pietismo ma solo una voglia di reazione, di cambiare il corso delle cose”.

A 20 mm da te, Andrea Simeone

La mostra è collegata alla esposizione Profughi – ciclo pittorico di Emilio Tadini – nel Salone principale della Casa Museo, a cura di Francesco Tadini e Melina Scalise, che prosegue fino al 30 giugno 2019.

Andrea Simeone da anni collabora con equipe mediche in zone disagiate, da Bucarest fino a Calcutta, approfondendo il Bangladesh, mettendo a disposizione la propria professionalità a ONG, Onlus, associazioni, enti, missionari. Questo gli ha permesso di avere accesso a zone di difficile ingresso, dagli slum, ai bordelli, dai centri di accoglienza di ragazzi di strada ai campi profughi. Ha collaborato con Emergency, AVSI, AnandaOnlus, Kisedet, AdmOnlus, Hiwa Hospital di Sulaymaniyah, St Gaspar di Itigi, su progetti inIndia, Bangladesh, nel Kurdistan Iracheno, in Tanzania, in Sierra Leone. Nella fotografia ho compiuto anche reportage sociali a Napoli, e in giro per le città italiane, approfondendo gli ideali di bellezza, la pulsione al possesso degli oggetti, all’uso a-sociale dei social network, alla politica dell’infelicità. Ha raccontato con il romanzo  “Recinto di Porci” la vita di un gruppo di adolescenti giunti al momento di scegliere o meno la Camorra. È nato alle pendici di un vulcano esplosivo, sotto una caldera piena di magma. Insiste a credere nell’approfondimento, nella curiosità e nel puro interesse verso la storia e l’uomo.

VA TUTTO BENE

Mostra Fotografica Personale di Andrea Simeone

A cura di Federicapaola Capecchi

8 maggio – 2 giugno 2019

Apertura al pubblico: dal mercoledì alla domenica dalle 15:30 alle 19:30

Possibile prenotare visite guidate con la curatrice: federicapaola@spaziotadini.it

Ingresso Casa Museo € 5

INFO PER LA STAMPA

Federicapaola Capecchi +39 347 71 34 066 – federicapaola@spaziotadini.it

SPAZIO TADINI CASA MUSEO – Via Niccolò Jommelli 24, 20131 Milano – MM 1 Loreto, MM 2 Piola, Bus 81,62 – https://www.spaziotadini.com

Close to home di simone margelli – testo di federicapaola capecchi

Simone Margelli, Siria, storie di fuga e accoglienza, Famiglia di Yahia

Reportage fotografico di Simone Margelli, in mostra fino al 7 aprile 2019, realizzato con il giornalista Enrico Nardi.

Close to home

Testo di Federicapaola Capecchi

Storie e fotografie che riportano le persone, le famiglie, le vite e Mafraq, una “polverosa e congestionata città di frontiera” – come scrive Enrico Nardi – a poco più di 15 chilometri dal confine Siriano. Vicino a casa, ma non casa.

Un reportage non predatorio – chiave che facilmente avrebbe potuto prendere il sopravvento nella cruenza di un territorio soggetto ad una guerra devastante ormai da sette anni – che vive di molti ritratti.

Simone Margelli documenta e trascrive il tempo e la situazione, rendendo evidente lo spirito umano delle vicende, degli accadimenti e anche della terra, di quel particolare pezzo di terra, La Giordania, che confina a sud con la Siria.

Simone Margelli, Siria, Storie di fuga e accoglienza, Famiglia di Fatima

Osserva gli avvenimenti da una nuova prospettiva, non cerca il sensazionalismo dell’evento, motivo per cui non va “in guerra” ma cerca l’aftermath – le conseguenze -, per far posto ad una visione più intima. Ognuna delle fotografie di questo reportage offre uno sguardo profondo, restituendo status e dignità ad ogni soggetto fotografato e riuscendo, egualmente, a rivelare speranze e paure. Lontano dalla crudeltà diretta della guerra, Simone Margelli dà vita ad una narrazione sottile di questo complesso dramma che è la situazione siriana.

A metà tra letteratura e giornalismo Simone Margelli ed Enrico Nardi uniscono il ruolo del reportage e dell’inviato speciale. E scrivono un pezzo di storia, non quella che finisce nei libri, ma quella del presente, della realtà contingente, degli esseri umani. Descrivono un evento e lo contestualizzano, dando un nome e un volto alla loro storia e a questo presente; conducono per mano un osservatore su luoghi e fatti scarsamente conosciuti dal lettore italiano; riescono a trovare un punto di incontro tra cause ed effetti; provano a dare un’interpretazione dei fatti. Un’esplorazione a tutto tondo – unendo fotografia e parola – su un’esperienza che diviene scrittura. Segno e icona.

In alcune fotografie sembra di vederli, Simone Margelli ed Enrico Nardi, muoversi nel territorio, ad incontrare le persone, per imparare e capire. E infatti nel loro reportage di fotografia e parola, segno e icona, parlano una lingua intima e forte al tempo stesso, fatta di orgoglio, guerra, povertà, lacrime e colori. Le fotografie, non a caso, sono tutte a colori. Una scelta anche difficile e audace per un reportage di questo tipo.

È un reportage che indaga la “condizione umana”, che cerca di evitare stereotipi e che, in ogni situazione, scelta e inquadratura, vuole documentare ed evidenziare i tratti che creano comprensione, dialogo, forse anche legami. Uno stile semplice ed umile, che ci rende partecipi di ogni scena, illuminandola a colori.

Scatti che documentano la vita. E i bambini, sicuramente colpiti da traumi e ferite, in queste fotografie divengono la voce positiva delle vittime silenziose del conflitto; grazie ad uno sguardo sensibile, sono proprio i ritratti dei bambini, i loro occhi lucenti e grandi, a documentare e restituire una vivida speranza nel futuro.

Sia pur in uno stile, in un modo e con obiettivi diversi, questo reportage di Simone Margelli fa tornare alla mente la “delicatezza” con cui Larry Towell offrì una documentazione esaustiva dei rapporti arabo-israeliani. Violenza, morte, fuga, esilio, conflitti quotidiani di vita ma che si raccontano con garbo, che con garbo documentano la storia di popoli che lottano per sopravvivere.

Quello di Simone Margelli è un linguaggio fotografico ben caratterizzato: già con Take Refuges (storie di profughi e rifugiati) ha mostrato di non voler essere un fotografo d’assalto ma di voler indagare la “normalità” e le conseguenze successive all’accadimento bellico o migratorio che sia. Fotografie concatenate l’una con l’altra, come le frasi di un discorso. Un racconto che ha in sé il concetto di unità tanto quanto di identità di un luogo fisico.

Un reportage che fonde l’accaduto all’esperienza individuale, che permette di porsi domande per iniziare una reale analisi del problema. Fatto anche di sensazione – che non è certo sconveniente – tanto nelle domande che si pone e che pone a chi guarda, quanto nella scelta della rappresentazione.

E quando ci troviamo dinanzi ai volti, questi ci guardano, diretti.

Una scelta precisa, non solo di approccio del fotografo, che sembra voler dire: questa lotta vi riguarda.

Federicapaola Capecchi

Simone Margelli, Siria, Storie di fuga e accoglienza, Famiglia di Hassna