Archivi tag: Bruno Panieri

Street Photography a Milano: il libro di Diego Bardone

Sarà presentato in anteprima assoluta alla Casa Museo Spazio Tadini (mappa) il libro tanto atteso dello street photographer del momento: Street Life Milano fotografie di Diego Bardone il 29 settembre dalle ore 18.30 fino alle 23 alla presenza dell’autore e seguirà un rinfresco. Una sintesi per immagini di un mood della metropoli milanese che rispecchia la sua attuale dimensione  tra innovazione e tradizione, tra frenesia produttiva e industria dell’intrattenimento con un occhio – quello di Diego Bardone – sempre puntato sulle persone. E’ una fotografia capace di cogliere contraddizioni, aspetti ironici o semplicemente far emergere tutto ciò che la confusione della metropoli ci offre per farci sorridere e noi non lo vediamo. Ebbene a Diego Bardone non sfugge nulla che non possa far sorridere alla vita anche in una città che corre e sembra votata alla distrazione e, dopo aver guardato e letto il libro si riesce a vedere Milano sotto una luce diversa scoprendo quanto il nostro sguardo possa migliorarci l'”umore” anche in una giornata stile “dalle 8 alle 17 orario continuato”.

Alla presentazione sarà presente Diego Bardone, gli autori, l’editore e sarà possibile acquistare copia del libro.

Street life Milano copertina del libro di Diego Bardone

Comunicato stampa

Le Edizioni del Foglio Clandestino in collaborazione con la Casa Museo Spazio Tadini e PhotoMilano presentano il volume fotografico STREET LIFE MILANO dello street photographer Diego Bardone. Più di cento immagini in bianco e nero raccontano Milano e il suo teatro infinito di situazioni, gesti e occasioni, materializzando l’illusione che oggetti, persone, animali e la città stessa possano sempre entrare in relazione tra loro, scambiarsi uno sguardo. Sfogliando Street Life Milano è subito chiaro che la strada è l’habitat naturale di Diego Bardone. Nelle sue fotografie ironiche, affettuose e spesso poetiche si scopre una città meno grigia di quanto ce la immaginiamo, che apre al sorriso e alla meraviglia, che trova sempre qualcosa di originale da mostrare. L’essere umano è una presenza costante e centrale in queste immagini, Milano anche. E in questa città, suo Teatro delle Meraviglie, Bardone si muove con garbo e rispetto verso i soggetti fotografati, riuscendo a raccogliere come suggerisce Francesco Tadini, fondatore della Casa Museo Spazio Tadini e ideatore di PhotoMilano «lezioni poetiche milanesissime, intrise di ironia e realismo al tempo stesso, quali le parole di Delio Tessa – o le surrealtà di Dino Buzzati! – e tradurre le migliaia di occasioni in lampi di racconto». Il volume, quasi un diario quotidiano, è un perenne omaggio a Milano e a tutti coloro che, inconsapevoli attori, Diego Bardone ha incontrato nel suo peregrinare per le strade della città.

Il suo sguardo cerca proprio là dove meno te lo aspetti e ti ruba un sorriso. Si insinua come un segugio tra il portone all’angolo e la galleria, aspetta paziente il momento esatto in cui si compone la scena, che lui prevede quasi come un indovino. Come sottolinea Melina Scalise, presidente della Casa Museo Spazio Tadini: «Le immagini di Diego Bardone sono strumenti terapeutici dell’umore metropolitano. Dopo aver conosciuto Bardone la città è meno grigia, le persone sono più originali, le storie più divertenti, gli appuntamenti mancati meno tristi e Milano è meravigliosa anche per innamorarsi. E noi, ci osserviamo nelle sue fotografie come in una storia che ci appartiene e ci scopriamo più divertenti di quanto pensassimo, più straordinari di quanto ci abbiano mai fatto credere». Il libro raccoglie 116 fotografie di Diego Bardone, i testi di Melina Scalise e Francesco Tadini, una conversazione di Diego Bardone con Maurizio Garofalo e gli interventi di Bruno Panieri, Stefano Pia, Roberto Pireddu, Roberto Ramirez. La traduzione inglese è di Donatella D’Angelo. Il passo narrativo e il ritmo del volume sono affidati alle mani esperte del photo editor Maurizio Garofalo.

Street Life Milano sarà presentato al pubblico sabato 29 settembre alle ore 18,30 presso la Casa Museo Spazio Tadini, casa museale in memoria del pittore e scrittore Emilio Tadini fondata da Francesco Tadini e Melina Scalise. Proprio in questo luogo di sinergia tra le arti e gli artisti si è creato l’incontro che ha dato vita a “Street Life Milano” tra le indipendenti Edizioni del Foglio Clandestino, già attive con diverse pubblicazioni in ambito fotografico e il fotografo Diego Bardone che proprio a Spazio Tadini e attraverso Photo Milano club fotografico milanese si è fatto conoscere dal grande pubblico con una mostra e attraverso i suoi frequentati workshop. Cercata e apprezzata la collaborazione di Maurizio Garofalo, giornalista professionista già art director e photo editor della rivista “Diario”.

Diego Bardone foto di Maria Grazia Scarpetta

Diego Bardone si avvicina alla fotografia a metà degli anni ‘80, collaborando con «Il Manifesto» e due piccole agenzie per alcuni anni. Gli accadimenti della vita lo portano altrove ma la fotografia resta una passione mai sopita, rinata quasi per caso dodici anni fa. Tra i suoi riferimenti Cartier-Bresson e Doisneau ma anche Boubat e Izis Bidermanas, Erwitt, Berengo Gardin, Branzi, Uliano Lucas, Tano D’Amico e Francesco Cito. Fotografare per Bardone è come osservarsi in una sorta di specchio virtuale che trova la sua dimensione nel reale quotidiano. Come lui stesso racconta: «Abbiamo tutti gli stessi volti, le stesse gioie, le stesse speranze: io sono loro, loro la trasposizione in immagini della mia allegria vagabonda. Vorrei dimostrare che la semplicità è sinonimo di bellezza, vorrei mostrare, come era solito dire Doisneau, un mondo “gentile”, un mondo che amo e che mi renda in qualche modo felice». Diego Bardone ha fondato, insieme a Bruno Panieri, Stefano Pia, Roberto Pireddu e Roberto Ramirez il gruppo fotografico “The Strippers”.

Street Life Milano si inserisce con il formato 21×21 nella collana Gleis 13 delle Edizioni del Foglio Clandestino che aveva già ospitato il saggio fotografico-narrativo Doppia esposizione. Berlin 1985-2015 di Natascia Ancarani e il libro fotografico Autori & Opere di Giuseppe Varchetta.

STREET LIFE MILANO
di Diego Bardone
Edizioni del Foglio Clandestino 2018
in collaborazione con Casa Museo Spazio Tadini e PhotoMilano
Testi: Maurizio Garofalo, Bruno Panieri, Stefano Pia, Roberto Pireddu, Roberto Ramirez, Melina Scalise, Francesco Tadini
Traduzione: Donatella D’Angelo
Photoediting: Maurizio Garofalo

FORMATO 21×21
PREZZO 25 €uro
ISBN 978-88-943302-0-5

PER MAGGIORI INFORMAZIONI
www.edizionidelfoglioclandestino.eu
redazione@edizionidelfoglioclandestino.it

http://www.diegobardonephotographer.com/
https://spaziotadini.com/
https://photomilano.org/
http://www.thestrippers.it/
Maurizio Garofalo

UFFICIO STAMPA
Giovanna Daniele
mail ufficiostampa@edizionidelfoglioclandestino.it

Novecento Italiano: Il ‘900 di Emilio Tadini nella Casa Museo Spazio Tadini

 A cura di Francesco Tadini e Melina Scalise

Dal 23 febbraio al 18 marzo

Casa Museo Spazio Tadini, via Niccolò Jommelli, 24 Milano

Apertura al pubblico 23 febbraio ore 18.30 ingresso 5 euro

Un percorso inedito sui cicli pittorici e le pubblicazioni più importanti dell’artista, scrittore, poeta e saggista italiano nella sua casa natale, un’antica casa editrice degli anni Venti, nonchè suo atelier. Per la prima volta in mostra Tadini pittore e scrittore con il contributo narrativo di 80 fotografi che arricchiscono il percorso letterario e concettuale mostrando la forte attualità del suo pensiero.

(orari mostra: 24 e 25 febbraio dalle 15 alle 18 – in queste due giornale l’orario subisce una variazioni – per tutte le settimane successive rimane valido l’orario seguente: da mercoledì a sabato dalle 15.30 alle 19.30 e domenica dalle 15 alle 18.30)

Con il patrocinio di Municipio 3 di Milano e Comune di Milano

All’interno della rassegna Novecento Italiano organizzata dal Comune di Milano per porre l’attenzione sui processi storici, culturali e artistici del secolo appena trascorso, non poteva mancare un approfondimento su uno degli autori milanesi più eclettici della cultura italiana del Novecento: Emilio Tadini.

Il suo amico Umberto Eco lo definì “Un pittore che scrive e un artista che dipinge” e queste “due anime” sono state per Tadini un irresistibile ed instancabile strumento di analisi della cultura del suo secolo, ma soprattutto della condizione umana:

ll senso della vita credo stia proprio nel cercarne il senso. E credo che l’arte, la cultura e anche le passioni rispondano proprio a questo: contribuire a dare un senso alla vita.“ (Emilio Tadini)
Per conoscere la ricca e significativa opera letteraria e artistica di Emilio Tadini dal 23 febbraio al 18 marzo 2018 si svolge a Milano un’esposizione nella sua casa natale, in via Jommelli, 24, una traversa di via Porpora, tra Loreto e Lambrate, luogo di riferimento anche di alcuni suoi racconti. Nella Casa Museo Spazio Tadini, a lui dedicata e sede dell’archivio, fondata dal figlio, Francesco Tadini (regista e autore televisivo) e Melina Scalise ( psicologa e giornalista), tutte le sale connesse all’atelier dell’artista proporranno un percorso duplice tra arte e scrittura, tra immagini e figure. Le sale, appartenute all’ex tipografia del padre di Emilio, Grafiche Marucelli & Co, ospiteranno i grandi trittici, opere pittoriche rappresentative di vari periodi della ricerca artistica di Emilio Tadini, disegni, sculture, opere di design, lavori pittorici inediti. In altre sale, compreso l’ex studio, una mostra di quadri rappresentativi di diversi cicli pittorici, arricchiti anche da appunti, quaderni e lavori letterari: romanzi, poesie, saggi e fotografie di una vita. Un percorso costellato da momenti di riflessione sulla sua visione dell’arte nel 900 e sulla sua ricerca filosofica con il supporto di contributi fotografici prodotti da fotografi contemporanei aderenti al gruppo PhotoMilano che documenta il capoluogo lombardo per immagini (www.photomilano.org).

I fotografi di PhotoMilano sono:
Diego Bardone, Francesco Falciola, Cesare Augello, Elisabetta Gatti Biggi, Luigi Alloni, Giovanni Paolini, Walter Ciceri, Gian Paolo Grignani, Alberto Scibona, Gianfranco Bellini, Laura Caligiuri, Francesca Giraudi, Giovanni Gianfranco Candida, Domenico Sestito, Fabio Zavattieri, Andrea Rossato, Francesco Summo, Adele Caracausi, Daniela Loconte, Alberto Grifantini, Michele Salvezza, Alessandra Antonini, Francesca Gernetti, Franco De Luca, Tiziana Granata, Rodolfo Cammarata, Giuseppe Di Terlizzi, Elvira Pavesi, Rosario Mignemi, Corrado Formenti, Armando Melocchi, Anna Limosani, Giovanna Paolillo, Maria Luisa Paolillo, Angelica Mereu, Cinzia Beatrice Stecca, Roberto Ramirez, Federica Tamagnini, Cristina Risciglione, Renato Corpaci, Matteo Garzonio, Romina Pilotti, Silvia Questore, Roberto Longoni, Fabio Natta, Antonella Fiocchi, Stefano Barattini, Luca Barovier, Michele De Fusco, Fabio Bonfanti, Maria Grazia Scarpetta, Marvi Hetzer, Walter Turcato, Claudio Stefanoni, Magda Chiarelli, Mimma Livini, Cristiano Vassalli, Roberto Crepaldi, Marisa di Brindisi, Marco Simontacchi, Claudio Manenti, Nerella Buggio, Giuliano Leone, Paola Fortunato, Lorena Tortora, Roberto Manfredi, Maria Cristina Pasotti, Bruno Panieri, Marina Labagnara, Antonia Rana, Alberto Chignoli, Andrea Fraccaro, Emanuele Cortellezzi, Daniele Rossi, Maurizio Buttazzo, Marco Bellavita.
A tale gruppo si aggiunge, con alcuni suoi disegni, l’artista Eleonora Prado.

Emilio Tadini 009 ph.MariaMulas, 1984,

Nato nel 1929 e morto nel 2002, Emilio Tadini ha vissuto appieno i momenti salienti del 900 dalla Grande Guerra fino alle soglie della rivoluzione linguistica e relazionale data dal web. Ha vissuto l’urgenza della ricostruzione, ha dovuto elaborare il dolore della perdita dei suoi genitori ancora ragazzo, ha saputo costruire nuove visioni sulla città collaborando anche con le istituzioni pubbliche, ha progettato la sua vita attorno alla curiosità culturale che gli è sempre appartenuta divorando libri tanto da entrare nelle commissioni di diversi premi letterari tra cui il Bagutta, di cui fu anche presidente.  Davanti a un bicchiere al bar Giamaica, nei piccoli atelier di pittori allora sconosciuti, tanto quanto nelle sale dell’informazione dei grandi quotidiani, come il Corriere della Sera, o negli studi della Rai o della Radiotelevisione Svizzera, nelle sale riunione di importanti aziende italiane, come l’Eni, nei palazzi dell’Arte, come l’Accademia di Brera, Emilio Tadini era il pensatore, il produttore di idee, il commentatore, il critico, il designer, l’uomo della comunicazione e l’intellettuale a tutto tondo.

Nei suoi dipinti e nei suoi scritti, tanto quanto nelle sue recensioni e testi critici sull’arte del 900 emerge una straordinaria capacità di sintesi frutto di uno studio attento di artisti, scrittori, poeti, filosofi e psicoanalisti. “Quando mio padre non dipingeva – ricorda il figlio, Francesco Tadini – era perché mia madre, Antonia, lo portava fuori da Milano, nella nostra casa in Valsesia, a Campertogno, condivisa per un breve periodo con la famiglia Fallaci, quella dell’”Oriana”. Lì, in tre mesi, scriveva un romanzo. Era instancabile e qualunque cosa producesse era naturalmente un’edizione degna d’interesse o addirittura di un premio Campiello. Del resto esordì scrittore ad appena vent’anni, con un poemetto di poesie “La passione secondo Matteo” sulla rivista Il Politecnico scelto da Vittorini e Montale.  Tradusse autori significati del 900 come Pound, Eliot, Auden, Stendhal, Melville, Shakespeare, Joyce e di tutto questo mondo lui e noi figli, io e Michele, ne fummo intrisi. Ricordo sere in cui io appena ventenne rinunciavo ad uscire con gli amici perché a cena c’erano Umberto Eco e Furio Colombo. Mi divertivo più con loro che con i coetanei, rimanevo incantato ad ascoltarli nei loro discorsi seri e poi subito a ridere di ogni cosa, perché l’approfondimento culturale colmava sempre con il paradosso e non c’era filosofia che tenesse rispetto al piacere di stare felicemente tra scherzi e battute insieme”.

EVENTI CORRELATI ALLA MOSTRA

Il 24 e 25 febbraio, dalle 18.30 la mostra sarà visitabile nel contesto di un approfondimento sull’arte e la moda africana che tanto ha influenzato la produzione artistica del 900 in collaborazione con Afro Fashion Week e in esposizione una serie di maschere Africane collezionate da Tadini.

Il 28 febbraio e il 9 marzo ore 21 sono in calendario due spettacoli di danza – ideati coreografati da Federicapaola Capecchi –  in Omaggio a Emilio Tadini.

A finissage della mostra, il 18 marzo alle ore 18.30  è previsto il concerto a tre voci e fisarmonica di The Apricot Tree con musica del repertorio jazz anni 40 in particolare con brani del Quartetto Cetra.

Emilio Tadini 013 ph.Franco Pardi, New York 1983,

Breve Biografia di Emilio Tadini

Emilio Tadini (Milano 5 giugno 1927-Milano 25 settembre 2002) è stato uno scrittore, un pittore, un critico d’arte, un poeta, un drammaturgo, un giornalista (della carta stampata e della televisione), un intellettuale civilmente impegnato.

Ha detto di lui il suo amico Umberto Eco: “uno scrittore che dipinge, un pittore che scrive”.

La giovinezza

Emilio Tadini nasce a Milano il 5 giugno del 1927. Rimane orfano di madre a 6 anni e pochi anni dopo anche del padre per un incidente stradale. Vive la sua giovinezza prevalentemente accudito e accompagnato nella sua crescita dalla zia e dalla nonna. Con suo fratello eredita la tipografia e Casa Editrice Grafiche Marucelli acquistata dal nonno in via Jommelli, 24. In quella palazzina su due piani, sfiorata dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale tra il quartiere Casoretto e piazzale Loreto, vivrà poi tutto il resto della sua vita. E’ cresciuto tra l’odore degli inchiostri, nella piccola impresa di famiglia dove venivano stampati i primi giornali economici: l’Esercente e il Corriere Agricolo, poi schiacciati dalla concorrenza di nuove testate economiche come Il Sole 24 Ore. Quest’attività fu poi seguita dal fratello Gianni, mentre Emilio ereditò dal padre la passione per la scrittura a cui dovette rinunciare per ragioni economiche e vi si dedicò da giovanissimo.

 

Scrittore

Emilio ad appena vent’anni, nel 1947, mostra i suoi interessi intellettuali e pubblica un poemetto sulla rivista di Elio Vittorini “Politecnico”: La passione secondo San Matteo per il quale riceve un premio da Montale, Solmi e Muscetta. Si laurea in Lettere ed inizia un mai interrotto lavoro di scrittura: poesie, saggi, romanzi. Nel 1960 pubblica Tre poemetti , nel 1963 per Rizzoli il romanzo Le armi l’amore, dedicato all’impresa di Carlo Pisacane. Poi seguirono L’Opera(Einaudi 1980); La lunga notte(Rizzoli) 1987 (vince il Premio Campiello); L’insieme delle cose, poesia edito da Garzanti (1991), La tempestaEinaudi 1993 (Premio Strega), La deposizione ( Einaudi 1997), La distanza ( Einaudi 1998), L’Occhio della pittura 1999, Eccetera ultimo romanzo pubblicato post mortem 2002 a cura del figlio Francesco Tadini e a seguire, a cura di Anna Modena in collaborazione Fondazione del Correre della Sera Poemetti e poesie (Einaudi 2011).

La sua attività letteraria fu accompagnata e influenzata dalla sua attività di studio e traduzione di autori importanti e, all’epoca ancora poco noti, come Pound, Eliot, Celine Faulkner, Malevic. Frequenta intellettuali da cui trae ispirazione come Vittorini, Solmi, Albe Steiner, ma soprattutto, in quella Milano del dopoguerra allaccia amicizia con molti giovani intellettuali e artisti da Umberto Eco a Dario Fo, da Lucio Fontana e Valerio Adami, da Alik Cavalieri a Gianfranco Pardi, da Mario Schifano a Lucio Del Pezzo e tanti altri. Tadini ama anche il teatro e all’interno del “circolo Diogene” con cui andava a teatro tre volte a settimana conosce e frequenta Grassi e Strehler.

 

Pittore

Accanto al suo amore per la scrittura si affianca negli anni ’50 l’amore per la pittura sviluppando un linguaggio pittorico molto autonomo a ricordare figure simboliche di quadri di Bosch. Su questo ciclo di pittura per lo più inserito nella serie “Saggio sul Nazismo” (1960) la galleria Renzo Cortina di Milano dedicò nel 2008 un’ampia esposizione accompagnata da un catalogo.  Negli anni a seguire Tadini si avvicinò al realismo esistenziale e alla  “Pop Art” inglese. Fortemente influenzato dalla Pop art è “Il posto dei bambini” (1966).

Di questo periodo è il ciclo “Vita di Voltaire” (1967) . La sua prima esposizione personale è del 1961 alla Galleria del Cavallino di Venezia e il suo primo collezionista è stato il pittore Trancredi. ma  l’inizio della sua ascesa artistica avviene con la partecipazione alla collettiva presso lo Studio Marconi nel 1965, della quale fecero parte anche altri tre grandi: Mario Schifano, Valerio Adami e Lucio Del Pezzo. Fin dagli esordi, Tadini sviluppa la propria pittura per grandi cicli, costruendo il quadro secondo una tecnica di sovrapposizione di piani temporali in cui ricordo e realtà, tragico e comico, giocano di continuo uno contro l’altro. Seguì il ciclo “L’uomo dell’organizzazione” (1968), Color & Co del 1969, Viaggio in Italia 1970, Paesaggio di Malevic 1971, Archeologia 1972, Magazine Réunis 1973, Museo dell’Uomo, 1974 e Disordine in corpo classico 1981. Nel 1978 e nel 1982 viene invitato alla Biennale di Venezia

Nel 1986 organizza un’importante esposizione alla Rotonda della Besana a Milano dove espone una serie di tele che preannunciano il ciclo dei “Profughi” e quello dedicato alle “Città italiane”, poi presentato nel 1988 alla Tour Fromage di Aosta. Nel 1990 espone allo Studio Marconi una serie di grandi trittici. Del 1992 è la serie Oltremare alla Galerie du Centre di Parigi. Nel 1995 alla Villa delle Rose di Bologna vengono presentati otto grandi trittici de “Il ballo dei filosofi”. A partire dall’autunno 1995 fino all’ estate 1996 una grande mostra antologica e itinerante ha avuto luogo in Germania nei musei di Stralsund, Bochum e Darmstadt accompagnata da una monografia a cura di A.C.Quintavalle. Nel 1996 la mostra de “Il ballo dei filosofi” viene presentata alla galleria Giò Marconi. Nel 1997 espone presso la Galerie Karin Fesel a Düsseldorf, la Galerie Georges Fall a Parigi e il Museo di Castelvecchio a Verona. Gli ultimi cicli dipinti sono quelli delle “Nature morte” e delle “Fiabe che nel 1999 sono presentate alla Die Galerie di Francoforte. Nel 2001 la città di Milano gli rende omaggio con una mostra antologica Emilio Tadini: Opere 1959/2000, a Palazzo Reale. Del 2001 è la celebre sede di Palazzo Reale a Milano ad ospitare l’ultima mostra antologica a lui dedicata, all’interno della quale esponenti del mondo della cultura quali Umberto Eco, Arturo Carlo Quintavalle, Alan Jouffroy gli hanno reso l’ultimo omaggio.

Nell’arco della sua carriera pittorica lo invitano a realizzare esposizioni personali a Parigi, Stoccolma, Bruxelles, Londra, Anversa, Stati Uniti e Sudamerica, sia in gallerie private che presso istituzioni pubbliche e Musei.

Dopo la sua morte (2002) dal 24 al25 settembre 2004, presso il Palazzo Reale di Milano, Fondazione Corriere della Sera organizza il convegno Le figure, le cose a cui partecipano personaggi di spicco della cultura, dell’arte, del giornalismo come Ferruccio de Bortoli, Umberto Eco, Paolo Fabbri, Arturo Carlo Quintavalle, Valerio Adami.
Nella primavera del 2005 il Museo Villa dei Cedri di Bellinzona gli dedica un’ampia mostra antologica. Nel 2007 si tiene a Milano la grande mostra Emilio Tadini 1960-1985. L’occhio della pittura negli spazi espositivi della Fondazione Marconi, della Fondazione Mudima e dell’Accademia di Brera, con un ricco catalogo edito da Skira.

Nel 2008 il figlio Francesco Tadini e la giornalista Melina Scalise fondano l’associazione Spazio Tadini in suo omaggio inglobando negli spazi della tipografia di famiglia, lo studio dell’artista. Nel 2015, Spazio Tadini diventa Casa Museo nel circuito Storie milanesi che raccoglie 15 luoghi della città dove hanno vissuto dei personaggi (artisti, scrittori, designer) che hanno dato un contributo artistico e culturale alla città. Nelle sale della casa museo è possibile visitare l’ex studio e vedere opere dell’artista, oltre alla sua biblioteca. Presso Spazio Tadini ha sede l’archivio degli eredi Francesco Tadini, regista e autore televisivo,  e suo fratello, Michele Tadini, compositore.

 

Incarichi professionali e istituzionali di Emilio Tadini

E’ stato presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera dal 1997 al 2000.

Dal 1992 inizia un’intensa collaborazione con il Corriere della Sera come critico d’arte ed editorialista.

Il 28 novembre 1997 Ha condotto e ideato la trasmissione televisiva sull’arte Contesto su Tele +. Al termine del ciclo di 100 puntate condotte, così si è espresso Aldo Grasso sulle pagine del Corriere della Sera, parlando della trasmissione ideata e presentata da Emilio: “Tadini fa 100 e chiude vincendo la sfida dei libri Che peccato, alla vigilia di Natale ha chiuso i battenti una delle poche trasmissioni civili, intelligenti, pacate della tv italiana (…)” Mentre Alessandro
Baricco disse: “Contesto” ha un’idea del tempo che non nasce dalla cultura televisiva
ma da quella libresca. Solo così è possibile articolare le proprie opinioni”.

Dal 2000 al 2001 collabora con la RSI Cultural (Radio televisione Svizzera)

Direttore Premio Bagutta

Membro della giuria del Premio IX Italo Calvino 1996

 

RICONOSCIMENTI E PREMI

« La passione secondo san Matteo », che vinse il premio “Renato Serra”

Premio Campiello con La lunga Notte

Premio Campiello con L’armi l’amore 

La tempesta, Einaudi 1993 (Premio Strega)

Penclubitalia

 

Il suo pensiero

In uno scritto del 1960, Possibilità di relazione, Tadini aveva chiarito la poetica alla quale, malgrado l’incessante ricerca e metamorfosi del suo lavoro, è rimasto sempre fedele: il principio cui mi attengo, diceva, è quello di “una possibile libertà integrale della ragione…che porta a far saltare ogni diaframma tra il mondo ‘fisico’ e quello ‘spirituale’ (…). È questa presa di posizione che porta logicamente a superare ogni alternativa superficiale di realismo e spiritualismo (o di arte fantastica) proponendo qualcosa che si potrebbe chiamare realismo integrale, nella cui sfera devono essere risolte tutte insieme le funzioni dell’uomo in ogni particolare momento della sua storia”.

Tadini dichiarò la sua avversione nei confronti dell’espressionismo astratto americano, per contro l’espressionismo cinematografico tedesco condizionò non poco la sua visione dello spazio urbano. Se distinse la pop art americana da quella inglese, è perché mentre dalla prima prese le distanze, la seconda gli fu per molti versi congeniale. Non ebbe nessun timore di sperimentare nuovi linguaggi, ma mai per puro gusto avanguardistico o di accumulazione citazionistica post-moderna; al contrario, per arricchire e spostare il patrimonio di una tradizione classica che conosceva a menadito.

In una realtà come quella odierna, ormai definitivamente “sottosopra”, l’uomo sia destinato a sopportare una nuova croce: quella di vivere dentro un universo sconnesso, privo di riferimenti stabili, di territori sicuri, di valori condivisi. Il protagonista ricorrente, una sorta di Pinocchio metafisico e vagamente ridicolo, brancola nel vuoto: anche la forza di gravità sembra non sostenerlo più.

Detta altrimenti: certo che a Tadini premeva dipingere, colorare, distribuire le ombre e le luci. Ma gli premeva in funzione di quel “realismo integrale” ricordato nel suo testo del ’60, gli premeva in funzione di una lettura allegorica del presente, al modo di Beckmann. Gli premeva perché voleva raffigurare, raccontandolo e teatralizzandolo, L’insieme delle cose (come suona il titolo di un suo libro di poesie pubblicato da Garzanti).

 

È nell’intermittenza tra la razionalità e un’oscurità sempre incombente che vivono i personaggi dei suoi quadri. Basti citare, per tutti, il ciclo sul “ballo dei filosofi”, laddove il refrain verbale (un immaginoso e sgangherato “ego fuit”) suona a evidente sberleffo dell’Io cartesiano, che tutto sa e tutto controlla. Qui l’Io, invece, poco sa e meno ancora controlla. Ma non per questo demorde. In fin dei conti l’avventura cui è chiamato è sì tremenda, ma insieme affascinante. Chi infatti vede tra le maglie allentate del reale, il nulla, l’abisso, è ovviamente terrorizzato, ma può anche giovarsi del senso di assoluta libertà che ne discende.

Andata gambe all’aria ogni sistemazione definitiva del mondo, la luce di questa nuova ragione – affidata negli ultimi trittici a una ricorrente, piccola candela, sempre periclitante – sarà magari più fioca, più incerta. Ma finalmente propria: unica, singolare, irripetibile. Così come è stato, ed è, assolutamente unico, singolare, irripetibile, il tragitto artistico ed esistenziale di Emilio Tadini.

 

Casa Museo Spazio Tadini

Fondata nel 2008 da Francesco Tadini e Melina Scalise oggi è inserita nel circuito di case museali, Storiemilanesi (www.storiemilanesi.org)

Apertura mostra Spazio Tadini via Jommelli, 24 Milano

Durata della mostra: dal 23 febbraio al 18 marzo

Apertura 23 febbraio ore 18.30 apertura al pubblico – ingresso 5 euro.

Apertura settimanale

24 e 25 febbraio dalle 15 alle 18  (in queste due giornale l’orario subisce una variazione)

Per tutte le settimane successive rimane valido l’orario seguente:

Da mercoledì a sabato: Dalle 15.30 alle 18.30

Domenica dalle 15 alle 18.30

Milano street photography- Diego Bardone

Milano street Photography – Mostra di Diego Bardone a cura di Francesco Tadini e Federicapaola Capecchi

Dal 20 ottobre al 19 novembre 2017 – apertura al pubblico 20 ottobre dalle ore 18.30 – apertura al pubblico dal mercoledì a sabato dalle 15.30 alle 19.30 e domenica 15-19. Ingresso 5 euro.

Cosa sarebbe Diego Bardone senza Milano e cosa sarebbe Milano senza Diego Bardone? Lui, fotografo di strada, ogni giorno comincia la sua giornata per le vie di questa città. Si apposta, come farebbe un ornitologo, a caccia dell’umano, del cittadino qualunque, del turista distratto, dell’improbabile situazione che si crea tra l’uomo e il suo contesto. Lo scatto che porta a casa Bardone non coglie solo uno sguardo, né solo uno scorcio di città, ma l’insieme. Dall’ insieme nasce la poetica del suo lavoro fotografico. Riesce, nella moltitudine, a cogliere una combinazione degli elementi che spesso è un intero racconto, altre volte, è uno spaccato istantaneo carico di contraddizioni, altre volte coglie tutto l’umorismo pirandelliano del vivere.

Dice di lui il giornalista Roberto Morosetti: “Con umorismo e intelligenza, col desiderio di sdrammatizzare, Bardone sa prendere le distanze da se stesso, dalle cose che abbiamo attorno, dagli avvenimenti che accadono, con uno sguardo che non si ferma alle apparenze ma procede oltre la superficie.
Nelle sue immagini, attraverso accostamenti inconsueti e particolari, noi percepiamo la fragilità della linea di demarcazione tra il senso e il non senso, cogliendone il rovesciamento. Bardone possiede la capacità dei grandi.
Quella di vedere immagini che si compongono, si organizzano e si strutturano in una frazione infinitesimale di secondo… e nella frazione successiva svaniscono nel nulla, scomparse per sempre nella misteriosa nullità del caos”.

Dicono di lui

“Se mi guardo intorno, tra i tanti fotografi di street che ormai popolano il mondo fotografico, faccio difficoltà a trovarne uno intimamente legato alla sua città, come lo è Diego Bardone con Milano. Potrebbe esistere Diego Bardone senza Milano? Probabilmente sarebbe comuque un ottimo fotografo, ma io penso che perderebbe gran parte del suo universo di riferimento. Pensando ad altri grandi della storia fotografica, forse il senso del legame tra Bardone e Milano lo si ritrova, così forte ed intenso, solo nella Parigi dei grandi padri della fotografia umanista. Eppure, se si osservano con attenzione il lavoro di Diego, non si ritrova uno stereotipo di quella scuola, ma un personalissimo approccio che denota un “marchio di fabbrica” assolutamente inequivocabile. Acuto, leggero, sornione, malinconicamente gioioso, a volte languido senza mai essere stucchevole, Diego riesce ad immergersi nelle strade della sua Milano, fino ad assumerne tutte le sfumature di carattere. Nelle sue foto i toni del bianco e nero diventano essenziali per svelarci una umanità indissolubilmente legata ai particolari ambientali che ne svelano il significato compiuto: come lui ama spesso dire, non esiste una bella fotografia di strada senza un sfondo interessante. La sua è una fotografia di “senso”, una fotografia da osservare con l’acume del lettore di un romanzo giallo: anche se ci rapisce immediatamente con l’estetica e la bellezza, bisogna trovare sempre l’assassino, per restare soddisfatti. Non deve essere facile descrivere così bene una città mettendo al centro di ogni scatto l’umano, soprattutto raccogliendo tutto il potpourri della contemporaneità che caratterizza Milano; Diego ci riesce e con lui Milano trova sempre qualcosa di molto personale da dire, e anche quando appare malinconica, caotica, disordinata, riesce sempre ad apparire più bella di quello che è e che ci fa sentire bene, dicendola un po’ come Doisneau. Diego cerca sempre un motivo per farci sorridere, ma non si dimentica mai di farci pensare.” –Bruno Panieri

“Nelle strade di una città, persone, oggetti, luoghi entrano ogni giorno in relazione tra loro. Il più delle volte, però, questi incontri non avvengono: nella fretta del quotidiano via vai, spesso si perde l’appuntamento con l’istante: lo sguardo del passante che incrocia la nostra via, l’acrobazia del giocoliere nella piazza, il volo di un uccello oltre il cornicione di un palazzo. Quanti piccoli eventi avvengono ogni giorno nella strada, senza che nessuno ne colga l’accadere.
Nelle foto di Diego Bardone si materializza questa illusione: che le persone, gli animali, le cose e la città stessa possano sempre, per un attimo, entrare in relazione tra loro, giocare, scambiarsi un gesto, uno sguardo. Che perfino le immagini pubblicitarie, affisse ai muri o sui tram urbani, possano prendere vita un istante e cercare un contatto che vada oltre il compito cui sono destinate.
Ma è la fotografia a creare incontri e connessioni, simmetrie e sovrapposizioni, forme inconsuete che solo l’occhio pronto e allenato può fermare prima che sfuggano definitivamente. E’ l’immagine a dar vita a una fiaba in cui tutto può accadere: la città abbandona la sua rigida austerità e accoglie l’inatteso, animandosi di creature nuove, che condividono messaggi misteriosi.
La Milano delle fotografie di Diego Bardone è una città trasfigurata da un incantesimo gentile, che apre al sorriso e alla meraviglia, trasforma il banale e l’ordinario in un caleidoscopio dalle mille sfumature e fa del vagare nelle strade un’avventura emozionante alla ricerca dello scarto di senso, della narrazione alternativa alla routine quotidiana, del particolare che trasforma il consueto in una combinazione irripetibile, a volte curiosa e striata di ironia, altre volte segnata di poesia lieve e fugace.
E’ a questa avventura che lo spettatore è chiamato ad accostarsi con leggerezza, senza più la paura di essere travolto dall’incessante movimento della città, immergendosi in un mondo vagamente fuori dal tempo, in cui la coerenza logica qualche volta cede il posto al surreale e la strada si apre ad accogliere la multiforme, a volte insensata, varietà del darsi delle cose e della vita.”Maria Prete, filosofa

“Sono innamorato di Diego Bardone (Milano, 1963). Animale fotografico da preda dal fiuto eccezionale, cacciatore dell’ordinario e dell’inconsueto, riesce a comporre con maestria un repertorio di luoghi e persone da cui emerge in ogni occasione l’attimo irrazionale della vita.Le sue fotografie comunicano emozioni piene di intensa contraddizione, in un crudo bianco e nero che ricorda l’approccio visuale dei Faurer o dei Klein, e hanno sempre a che fare col paradosso. Con umorismo e intelligenza, col desiderio di sdrammatizzare, Bardone sa prendere le distanze da se stesso, dalle cose che abbiamo attorno, dagli avvenimenti che accadono, con uno sguardo che non si ferma alle apparenze ma procede oltre la superficie.
Nelle sue immagini, attraverso accostamenti inconsueti e particolari, noi percepiamo la fragilità della linea di demarcazione tra il senso e il non senso, cogliendone il rovesciamento. 
Bardone possiede la capacità dei grandi.
Quella di vedere immagini che si compongono, si organizzano e si strutturano in una frazione infinitesimale di secondo… e nella frazione successiva svaniscono nel nulla, scomparse per sempre nella misteriosa nullità del caos. 
Bardone sa vedere queste fotografie, e le sa raccogliere.” Roberto Morosetti, giornalista

Diego Bardone foto di Maria Grazia Scarpetta
Diego Bardone – Nato a Milano nel 1963, mi avvicino alla fotografia a metà degli anni ’80, collaboro con il Manifesto e due piccole agenzie per alcuni anni, poi gli accadimenti della vita mi portano altrove e non scatto una fotografia per più di quindici anni. Passione mai sopita, rinata per caso una decina di anni fa. La strada è il mio habitat naturale, la semplicità dello scorrere della vita di tutti i giorni ciò che amo ritrarre usando il BN come mezzo espressivo d’elezione. Al mio attivo diverse mostre, personali e non, e pubblicazioni su alcuni magazine fotografici, italiani e non. Il mio è un diario quotidiano, un perenne omaggio a Milano e a coloro che, inconsapevoli attori, ho la ventura/fortuna di incontrare nel mio peregrinare per le strade della mia città.
E’ come se osservassi me stesso in una sorta di specchio virtuale che trova la sua dimensione nel nostro reale quotidiano.
Abbiamo tutti gli stessi volti, le stesse gioie, le stesse speranze: io sono loro, loro la trasposizione in immagini della mia allegria vagabonda. Vorrei dimostrare che la semplicità è sinonimo di bellezza, vorrei mostrare come era solito dire Doisneau, un mondo “gentile”, un mondo che amo e che mi renda in qualche modo felice.