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Le donne di emilio tadini

Un video per raccontare come l’artista Emilio Tadini (1927-2002 Milano) vedeva le donne. Una lettura dell’opera di Tadini a cura di Melina Scalise che ha scoperto, nel lavoro dell’artista, una figura femminile ricorrente e con caratteristiche precise che vanno dalla determinazione, alla ribellione, dalla capacità di lotta per la sopravvivenza, alla comunione con la Terra e ai misteri dell’Universo. Una donna che accoglie, ma anche che attacca per difendere se stessa.

Il video è stato realizzato sulla mostra Parlami di lei teneramente forte, inserita nel palinsesto del comune di Milano I talenti delle donne che purtroppo a causa del Covid è rimasta aperta solo per pochi giorni. E’ per questa ragione che il filmato si propone come stimolo a visitare la mostra presso la Casa Museo Spazio Tadini se potrà riaprire prima della fine del 2021. Infatti la mostra terminerà a dicembre.

Il video offre una serie di suggestioni e stimoli di riflessione e sarà trasmesso in anteprima sul canale YouTube alle ore 18.30 del 9 aprile e sarà possibile vederlo insieme e commentarlo in diretta con l’autrice. La data del 9 aprile per la pubblicazione è stata scelta in memoria di sua moglie, Antonietta Tadini Perazzoli, morta 2 anni fa, a cui l’artista si è anche ispirato in molte sue opere e figura importante nella sua vita.

Fotografia e haiku di Angelo Tondini – l’essenziale

“L’Essenziale”. Questo il titolo scelto dall’autore per la mostra che sarà
allestita nella Casa Museo Spazio Tadini, a Milano e in mostra dal 28 febbraio al 28 marzo 2020 con testo di Roberto Mutti.
Fotografie e componimenti Haiku legati fra loro dal filo rosso della riduzione al minimo indispensabile, per essere rappresentativi. Angelo Tondini dice che questa sarà la sua ultima mostra e che proprio per questo ha essenzializzato tutto: poesie ingabbiate nello schema metrico rigido dell’Haiku e immagini fotografiche, vuote, piene, astratte, geometriche, figurative… la cui composizione, sempre rigorosa, privilegia i vuoti; insomma, è ridotta all’essenziale. Confortato dall’età anagrafica, Tondini afferma che la sua mostra è come la vecchiaia. Gli anziani, infatti, escludono dalla propria esistenza tutto ciò che non serve alla loro intima sopravvivenza, fisica e psichica; e possono quindi scegliere di limitarsi all’essenziale, affidandosi alla creatività, l’ultima vera salvezza.
“La ricerca dell’essenziale –sostiene Tondini- è una parabola della vita. Penso che l’ultima fase di ogni arte sia fatalmente la stilizzazione, l’astrazione, la rarefazione, la geometria. Dai Greci (Palazzo di Cnosso) fino a Pollock e Fontana, un cammino naturale, quasi obbligato. È un percorso mentale, un modo di essere nel tempo.”

L’essenziale Testo di Roberto Mutti

Roberto Mutti de “La Repubblica”.
“Ci sono tanti modi per creare fotografie capaci di trasmettere quel sottile fascino che fa di un’immagine un tramite di emozioni.

Uno è quello di concentrare in una sola opera una molteplicità di elementi il cui fruitore si appllerà per cotruire un proprio personalissimo percorso. L’altro, al contrario, quello di lavorare “a togliere” per giungere a un risultato dove rimangano visibili solo pochi elementi con cui confrontarsi. IL primo, in estrema sintesi, è un approccio analitico, l’altro sintetico.

Angelo Tondini di questo secondo processo è un raffinato esegeta che ben riconosce la fatica e il lungo – peraltro insospettabile – lavoro di elaborazione innsieme teaorica ed emozionale grazie al quale sipuò finalmente approdare agli orizzonti certi dell’essenzialità. Basta che su un cielo azzurro colgano, ai margini del fotogramma, due frammenti delle pale di un mulino pe trasformare quel vuoro in una visione interiore devoe è come se l’intero edificio si capparizze in tutta la su imponente spettacolarità e pare perfino di sentire il vento e il cigolio dei meccanismo in movimento. Bastano tre linee che si intersecano sinuove fra di loro per creare l’immediatezza di un paesaggio desertico; una bicicletta appoggiata a un pannello per far esplodere n inserguirsi di cromie del rsso, un alternarsi di chiari e discuri per dar vita a una scalinata.

Angelo Tondini, che pure nella sua vita di reporter di viaggio ha dimostrato , ha dimostrato di sapere comporre vivacissimi e completi reportage, qui si esercita nel raffinato esercizio della composizione singola. Il suo è un iter originale, nel suo ripercorrere strade già intrecciate dalla contemporaneità in altri campi: nella musica, dove si è passati dall’imponente struttura sinfonica alle audaci riflessioni di un John Cage sul silenzio, nel teatro dove le tematiche de dramma borghese hanno ceduto il passo a quelle dell’assurdo. La fotografia di Angelo Tondini, dunque, si sviluppa andando oltre le convenzioni fino a stabilire un rappporto di analogia con le composizioni poetiche. Che qui, in tutta evidenza, non potevano che essere quelle dell’hiku,. Anche in questo caso, infatti, è il ritmo sincopato e la strutturaridotta a soli tre versi a rivelare la potenza espressiva di pochissimi elementi.

L’autore simuove con maestria sia nel campo fotografico – e qui le immagini acquisiscono una intensa valenza poetica – sia in quello di una scrittura che, nella sua capacità narrativa, si rapporta simbolicamente con l’immagine che evoca. Ed è la saldatura dialettica fra questi due poli a generare opere da guardare con attenzione, da leggere con impegno, per trasformare foto e poesie in una tensione da stabilire con ci le osserva.

Una mostra da non perdere.

Roberto Mutti

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fotografia- Mauro Scarpanti – BRICK FACTORY

In Nepal una condizione umana e di lotta alla sopravvivenza documentata con scatti di forte impatto antropologico e sociale. Il fotografo Mauro Scarpanti ha vissuto con una comunità di lavoratori di una fabbrica di mattoni per diversi giorni raccontandone la quotidianità e le incredibili condizioni di vita.

La mostra è presentata da Melina Scalise:

L’orgoglio di essere uominiChe cosa lega l’uomo alla polvere? La terra. In Nepal, durante la stagione secca che va da ottobre a giugno, quando il sole cuoce anche le pietre, decine e decine di famiglie arrivano dai villaggi verso i maggiori agglomerati urbani tra Kathmandu e Panau per produrre mattoni dalla terra. Non si tratta di fabbriche, ma di veri e propri accampamenti in cui intere famiglie, senza distinzione di sesso e di età, lavorano dalla mattina alla sera per fare mattoni per l’edilizia che ha subito un incremento di affari dopo il grave terremoto del 2015 di magnitudo 7,9 che uccise 8 mila persone e rase al suolo il Paese. Un lavoro fino allo sfinimento, anche fino alla morte… fino alla polvere. (leggi tutto il testo di presentazione)“.

Nel 2015, in Nepal, tra le terre circondate tra Kathmandu e Panau, l’edilizia ha dovuto far fronte alle esigenze di ricostruzione di un terremoto di magnitudo 7.9 dove più di 8 mila persero la vita e il paese fu raso interamente al suolo. Ancora oggi, centinaia di anziani e bambini sono destinati a una vita di schiavitù lavorando in campi organizzati per la costruzione di mattoni. Per molte famiglie, questo lavoro duro costituisce l’unica possibilità di reddito.

Senza distinzioni di sesso o di età, interi nuclei familiari lavorano ininterrottamente per la costruzione di nuovi villaggi.

Il fotografo Mauro Scarpanti ha voluto conoscere questa realtà andando a vivere in una di queste fabbriche, provando, sulla propria pelle, quelle condizioni di vita, il calore e il colore dell’aria intrisa di polvere. Il ritratto che ne deriva è particolarmente emozionante perché in queste fabbriche non ci sono lavoratori individuali, ma intere famiglie senza distinzione di età: un lavoro particolarmente duro per donne e bambini.

In questi luoghi l’infanzia non esiste e non ha tutele quanto le donne, costrette a spaccarsi la schiena tra i figli e il lavoro. La gente è letteralmente racchiusa in un groviglio di polvere e di mattoni, dove l’unica luce che filtra è quella accecante del sole.

Scarpanti riesce a immortalare queste condizioni disumane senza risparmiare l’attenzione all’emozione che traspare dallo sguardo di queste persone. I bambini posano davanti alla macchina fotografica come veri uomini, senza un filo di innocenza e gioia infantile.

“Emblematico il ritratto di un ragazzino con in mano una vanga che osserva con sguardo intenso il fotografo al momento dello scatto – scrive Melina Scalise, curatrice della mostra – In quegli occhi, in quell’espressione, in quella postura si percepisce una sorta d’orgoglio, nonostante tutto. Forse è quello di sentirsi utile, partecipe alla costruzione di qualcosa di grandioso. Non è forse grande alleviare le fatiche della propria famiglia e sapere che, anche solo per quel giorno, ha portato a casa un risultato importante, insostituibile? Forse questo lo fa sentire come un uomo – un grande uomo – molto più di un bambino. Forse ha più ragione lui di noi che lo osserviamo con compassione. Quello sguardo ci riporta all’importanza delle piccole cose, dei piccoli gesti rispetto all’ambizione di molti di voler cambiare il mondo, di volerlo più giusto ed equo creando leader e movimenti o gruppi di potere a cui delegare il fare di questo cambiamento. Quell’orgoglio potrebbe essere quello di desiderare di essere semplicemente uomini. Quello sguardo potrebbe essere tutti noi”.

Giorgia Saronni

Mauro Scarpanti

Mauro Scarpanti

Biografia

MAURO SCARPANTI Codogno nel 1970

 Alla fine degli anni ’80 nasce il mio interesse per la fotografia e a metà degli anni ’90 inizio la collaborazione con uno studio fotografico.

 Da una ricerca che si protrae nel tempo nascono una serie di fotografie sulla mia città di notte. Questo lavoro “La città addormentata”, viene pubblicato dalla rivista fotografica di Maurizio Rebuzzini “Fotographia” nella sezione Under Trenta-art. curata da Roberto Mutti

Da qui realizzo diversi reportage in varie parti del mondo incentrati sulla gente.

 L’interesse per le arti visive mi avvicina alla danza, fotografo spettacoli e backstage in questo ambiente.

Per molto tempo realizzo reportage e lavori ispirati a tematiche sociali senza però sentire la necessita di esibirli perchè pienamente soddisfatto dalla mia collaborazione con uno studio fotografico

 Nel settembre 2017 la galleria Biffi Arte a Piacenza si interessa ad un mio lavoro artistico su un complesso industriale del ‘900: “L’Innocenza del vuoto” (un lavoro realizzato in anni precedenti)

 Nel 2018 realizzo un reportage sulle Brick Factory in Nepal pubblicato in seguito all’interno della rivista fotografica “Il Fotografo”


Casa Museo Spazio Tadini aperta da mercoledì a sabato dalle 15.30 alle 19.30. Domenica su prenotazione di visite guidate.

Ingresso libero. Visite guidate 7 euro.

Milano via Niccolò Jommelli, 24, 20131 Milano

www.spaziotadini.com

Contatti museospaziotadini@gmail.com

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