Profughi: fotografi e artisti

Profughi: le opere di Emilio Tadini raccontano la condizione senza tempo dell’essere profughi. Artisti e fotografi di oggi descrivono tra documenti, suggestioni e sguardi sul contemporaneo chi sono i profughi del nostro tempo.

Novecento Italiano: Il ‘900 di Emilio Tadini nella Casa Museo Spazio Tadini

 A cura di Francesco Tadini e Melina Scalise

Dal 23 febbraio al 18 marzo

Casa Museo Spazio Tadini, via Niccolò Jommelli, 24 Milano

Apertura al pubblico 23 febbraio ore 18.30 ingresso 5 euro

Un percorso inedito sui cicli pittorici e le pubblicazioni più importanti dell’artista, scrittore, poeta e saggista italiano nella sua casa natale, un’antica casa editrice degli anni Venti, nonchè suo atelier. Per la prima volta in mostra Tadini pittore e scrittore con il contributo narrativo di 80 fotografi che arricchiscono il percorso letterario e concettuale mostrando la forte attualità del suo pensiero.

(orari mostra: 24 e 25 febbraio dalle 15 alle 18 – in queste due giornale l’orario subisce una variazioni – per tutte le settimane successive rimane valido l’orario seguente: da mercoledì a sabato dalle 15.30 alle 19.30 e domenica dalle 15 alle 18.30)

Con il patrocinio di Municipio 3 di Milano e Comune di Milano

All’interno della rassegna Novecento Italiano organizzata dal Comune di Milano per porre l’attenzione sui processi storici, culturali e artistici del secolo appena trascorso, non poteva mancare un approfondimento su uno degli autori milanesi più eclettici della cultura italiana del Novecento: Emilio Tadini.

Il suo amico Umberto Eco lo definì “Un pittore che scrive e un artista che dipinge” e queste “due anime” sono state per Tadini un irresistibile ed instancabile strumento di analisi della cultura del suo secolo, ma soprattutto della condizione umana:

ll senso della vita credo stia proprio nel cercarne il senso. E credo che l’arte, la cultura e anche le passioni rispondano proprio a questo: contribuire a dare un senso alla vita.“ (Emilio Tadini)
Per conoscere la ricca e significativa opera letteraria e artistica di Emilio Tadini dal 23 febbraio al 18 marzo 2018 si svolge a Milano un’esposizione nella sua casa natale, in via Jommelli, 24, una traversa di via Porpora, tra Loreto e Lambrate, luogo di riferimento anche di alcuni suoi racconti. Nella Casa Museo Spazio Tadini, a lui dedicata e sede dell’archivio, fondata dal figlio, Francesco Tadini (regista e autore televisivo) e Melina Scalise ( psicologa e giornalista), tutte le sale connesse all’atelier dell’artista proporranno un percorso duplice tra arte e scrittura, tra immagini e figure. Le sale, appartenute all’ex tipografia del padre di Emilio, Grafiche Marucelli & Co, ospiteranno i grandi trittici, opere pittoriche rappresentative di vari periodi della ricerca artistica di Emilio Tadini, disegni, sculture, opere di design, lavori pittorici inediti. In altre sale, compreso l’ex studio, una mostra di quadri rappresentativi di diversi cicli pittorici, arricchiti anche da appunti, quaderni e lavori letterari: romanzi, poesie, saggi e fotografie di una vita. Un percorso costellato da momenti di riflessione sulla sua visione dell’arte nel 900 e sulla sua ricerca filosofica con il supporto di contributi fotografici prodotti da fotografi contemporanei aderenti al gruppo PhotoMilano che documenta il capoluogo lombardo per immagini (www.photomilano.org).

I fotografi di PhotoMilano sono:
Diego Bardone, Francesco Falciola, Cesare Augello, Elisabetta Gatti Biggi, Luigi Alloni, Giovanni Paolini, Walter Ciceri, Gian Paolo Grignani, Alberto Scibona, Gianfranco Bellini, Laura Caligiuri, Francesca Giraudi, Giovanni Gianfranco Candida, Domenico Sestito, Fabio Zavattieri, Andrea Rossato, Francesco Summo, Adele Caracausi, Daniela Loconte, Alberto Grifantini, Michele Salvezza, Alessandra Antonini, Francesca Gernetti, Franco De Luca, Tiziana Granata, Rodolfo Cammarata, Giuseppe Di Terlizzi, Elvira Pavesi, Rosario Mignemi, Corrado Formenti, Armando Melocchi, Anna Limosani, Giovanna Paolillo, Maria Luisa Paolillo, Angelica Mereu, Cinzia Beatrice Stecca, Roberto Ramirez, Federica Tamagnini, Cristina Risciglione, Renato Corpaci, Matteo Garzonio, Romina Pilotti, Silvia Questore, Roberto Longoni, Fabio Natta, Antonella Fiocchi, Stefano Barattini, Luca Barovier, Michele De Fusco, Fabio Bonfanti, Maria Grazia Scarpetta, Marvi Hetzer, Walter Turcato, Claudio Stefanoni, Magda Chiarelli, Mimma Livini, Cristiano Vassalli, Roberto Crepaldi, Marisa di Brindisi, Marco Simontacchi, Claudio Manenti, Nerella Buggio, Giuliano Leone, Paola Fortunato, Lorena Tortora, Roberto Manfredi, Maria Cristina Pasotti, Bruno Panieri, Marina Labagnara, Antonia Rana, Alberto Chignoli, Andrea Fraccaro, Emanuele Cortellezzi, Daniele Rossi, Maurizio Buttazzo, Marco Bellavita.
A tale gruppo si aggiunge, con alcuni suoi disegni, l’artista Eleonora Prado.

Emilio Tadini 009 ph.MariaMulas, 1984,
Emilio Tadini 009 ph.MariaMulas, 1984,

Nato nel 1929 e morto nel 2002, Emilio Tadini ha vissuto appieno i momenti salienti del 900 dalla Grande Guerra fino alle soglie della rivoluzione linguistica e relazionale data dal web. Ha vissuto l’urgenza della ricostruzione, ha dovuto elaborare il dolore della perdita dei suoi genitori ancora ragazzo, ha saputo costruire nuove visioni sulla città collaborando anche con le istituzioni pubbliche, ha progettato la sua vita attorno alla curiosità culturale che gli è sempre appartenuta divorando libri tanto da entrare nelle commissioni di diversi premi letterari tra cui il Bagutta, di cui fu anche presidente.  Davanti a un bicchiere al bar Giamaica, nei piccoli atelier di pittori allora sconosciuti, tanto quanto nelle sale dell’informazione dei grandi quotidiani, come il Corriere della Sera, o negli studi della Rai o della Radiotelevisione Svizzera, nelle sale riunione di importanti aziende italiane, come l’Eni, nei palazzi dell’Arte, come l’Accademia di Brera, Emilio Tadini era il pensatore, il produttore di idee, il commentatore, il critico, il designer, l’uomo della comunicazione e l’intellettuale a tutto tondo.

Nei suoi dipinti e nei suoi scritti, tanto quanto nelle sue recensioni e testi critici sull’arte del 900 emerge una straordinaria capacità di sintesi frutto di uno studio attento di artisti, scrittori, poeti, filosofi e psicoanalisti. “Quando mio padre non dipingeva – ricorda il figlio, Francesco Tadini – era perché mia madre, Antonia, lo portava fuori da Milano, nella nostra casa in Valsesia, a Campertogno, condivisa per un breve periodo con la famiglia Fallaci, quella dell’”Oriana”. Lì, in tre mesi, scriveva un romanzo. Era instancabile e qualunque cosa producesse era naturalmente un’edizione degna d’interesse o addirittura di un premio Campiello. Del resto esordì scrittore ad appena vent’anni, con un poemetto di poesie “La passione secondo Matteo” sulla rivista Il Politecnico scelto da Vittorini e Montale.  Tradusse autori significati del 900 come Pound, Eliot, Auden, Stendhal, Melville, Shakespeare, Joyce e di tutto questo mondo lui e noi figli, io e Michele, ne fummo intrisi. Ricordo sere in cui io appena ventenne rinunciavo ad uscire con gli amici perché a cena c’erano Umberto Eco e Furio Colombo. Mi divertivo più con loro che con i coetanei, rimanevo incantato ad ascoltarli nei loro discorsi seri e poi subito a ridere di ogni cosa, perché l’approfondimento culturale colmava sempre con il paradosso e non c’era filosofia che tenesse rispetto al piacere di stare felicemente tra scherzi e battute insieme”.

EVENTI CORRELATI ALLA MOSTRA

Il 24 e 25 febbraio, dalle 18.30 la mostra sarà visitabile nel contesto di un approfondimento sull’arte e la moda africana che tanto ha influenzato la produzione artistica del 900 in collaborazione con Afro Fashion Week e in esposizione una serie di maschere Africane collezionate da Tadini.

Il 28 febbraio e il 9 marzo ore 21 sono in calendario due spettacoli di danza – ideati coreografati da Federicapaola Capecchi –  in Omaggio a Emilio Tadini.

A finissage della mostra, il 18 marzo alle ore 18.30  è previsto il concerto a tre voci e fisarmonica di The Apricot Tree con musica del repertorio jazz anni 40 in particolare con brani del Quartetto Cetra.

Emilio Tadini 013 ph.Franco Pardi, New York 1983,
Emilio Tadini 013 ph.Franco Pardi, New York 1983,

Breve Biografia di Emilio Tadini

Emilio Tadini (Milano 5 giugno 1927-Milano 25 settembre 2002) è stato uno scrittore, un pittore, un critico d’arte, un poeta, un drammaturgo, un giornalista (della carta stampata e della televisione), un intellettuale civilmente impegnato.

Ha detto di lui il suo amico Umberto Eco: “uno scrittore che dipinge, un pittore che scrive”.

La giovinezza

Emilio Tadini nasce a Milano il 5 giugno del 1927. Rimane orfano di madre a 6 anni e pochi anni dopo anche del padre per un incidente stradale. Vive la sua giovinezza prevalentemente accudito e accompagnato nella sua crescita dalla zia e dalla nonna. Con suo fratello eredita la tipografia e Casa Editrice Grafiche Marucelli acquistata dal nonno in via Jommelli, 24. In quella palazzina su due piani, sfiorata dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale tra il quartiere Casoretto e piazzale Loreto, vivrà poi tutto il resto della sua vita. E’ cresciuto tra l’odore degli inchiostri, nella piccola impresa di famiglia dove venivano stampati i primi giornali economici: l’Esercente e il Corriere Agricolo, poi schiacciati dalla concorrenza di nuove testate economiche come Il Sole 24 Ore. Quest’attività fu poi seguita dal fratello Gianni, mentre Emilio ereditò dal padre la passione per la scrittura a cui dovette rinunciare per ragioni economiche e vi si dedicò da giovanissimo.

 

Scrittore

Emilio ad appena vent’anni, nel 1947, mostra i suoi interessi intellettuali e pubblica un poemetto sulla rivista di Elio Vittorini “Politecnico”: La passione secondo San Matteo per il quale riceve un premio da Montale, Solmi e Muscetta. Si laurea in Lettere ed inizia un mai interrotto lavoro di scrittura: poesie, saggi, romanzi. Nel 1960 pubblica Tre poemetti , nel 1963 per Rizzoli il romanzo Le armi l’amore, dedicato all’impresa di Carlo Pisacane. Poi seguirono L’Opera(Einaudi 1980); La lunga notte(Rizzoli) 1987 (vince il Premio Campiello); L’insieme delle cose, poesia edito da Garzanti (1991), La tempestaEinaudi 1993 (Premio Strega), La deposizione ( Einaudi 1997), La distanza ( Einaudi 1998), L’Occhio della pittura 1999, Eccetera ultimo romanzo pubblicato post mortem 2002 a cura del figlio Francesco Tadini e a seguire, a cura di Anna Modena in collaborazione Fondazione del Correre della Sera Poemetti e poesie (Einaudi 2011).

La sua attività letteraria fu accompagnata e influenzata dalla sua attività di studio e traduzione di autori importanti e, all’epoca ancora poco noti, come Pound, Eliot, Celine Faulkner, Malevic. Frequenta intellettuali da cui trae ispirazione come Vittorini, Solmi, Albe Steiner, ma soprattutto, in quella Milano del dopoguerra allaccia amicizia con molti giovani intellettuali e artisti da Umberto Eco a Dario Fo, da Lucio Fontana e Valerio Adami, da Alik Cavalieri a Gianfranco Pardi, da Mario Schifano a Lucio Del Pezzo e tanti altri. Tadini ama anche il teatro e all’interno del “circolo Diogene” con cui andava a teatro tre volte a settimana conosce e frequenta Grassi e Strehler.

 

Pittore

Accanto al suo amore per la scrittura si affianca negli anni ’50 l’amore per la pittura sviluppando un linguaggio pittorico molto autonomo a ricordare figure simboliche di quadri di Bosch. Su questo ciclo di pittura per lo più inserito nella serie “Saggio sul Nazismo” (1960) la galleria Renzo Cortina di Milano dedicò nel 2008 un’ampia esposizione accompagnata da un catalogo.  Negli anni a seguire Tadini si avvicinò al realismo esistenziale e alla  “Pop Art” inglese. Fortemente influenzato dalla Pop art è “Il posto dei bambini” (1966).

Di questo periodo è il ciclo “Vita di Voltaire” (1967) . La sua prima esposizione personale è del 1961 alla Galleria del Cavallino di Venezia e il suo primo collezionista è stato il pittore Trancredi. ma  l’inizio della sua ascesa artistica avviene con la partecipazione alla collettiva presso lo Studio Marconi nel 1965, della quale fecero parte anche altri tre grandi: Mario Schifano, Valerio Adami e Lucio Del Pezzo. Fin dagli esordi, Tadini sviluppa la propria pittura per grandi cicli, costruendo il quadro secondo una tecnica di sovrapposizione di piani temporali in cui ricordo e realtà, tragico e comico, giocano di continuo uno contro l’altro. Seguì il ciclo “L’uomo dell’organizzazione” (1968), Color & Co del 1969, Viaggio in Italia 1970, Paesaggio di Malevic 1971, Archeologia 1972, Magazine Réunis 1973, Museo dell’Uomo, 1974 e Disordine in corpo classico 1981. Nel 1978 e nel 1982 viene invitato alla Biennale di Venezia

Nel 1986 organizza un’importante esposizione alla Rotonda della Besana a Milano dove espone una serie di tele che preannunciano il ciclo dei “Profughi” e quello dedicato alle “Città italiane”, poi presentato nel 1988 alla Tour Fromage di Aosta. Nel 1990 espone allo Studio Marconi una serie di grandi trittici. Del 1992 è la serie Oltremare alla Galerie du Centre di Parigi. Nel 1995 alla Villa delle Rose di Bologna vengono presentati otto grandi trittici de “Il ballo dei filosofi”. A partire dall’autunno 1995 fino all’ estate 1996 una grande mostra antologica e itinerante ha avuto luogo in Germania nei musei di Stralsund, Bochum e Darmstadt accompagnata da una monografia a cura di A.C.Quintavalle. Nel 1996 la mostra de “Il ballo dei filosofi” viene presentata alla galleria Giò Marconi. Nel 1997 espone presso la Galerie Karin Fesel a Düsseldorf, la Galerie Georges Fall a Parigi e il Museo di Castelvecchio a Verona. Gli ultimi cicli dipinti sono quelli delle “Nature morte” e delle “Fiabe che nel 1999 sono presentate alla Die Galerie di Francoforte. Nel 2001 la città di Milano gli rende omaggio con una mostra antologica Emilio Tadini: Opere 1959/2000, a Palazzo Reale. Del 2001 è la celebre sede di Palazzo Reale a Milano ad ospitare l’ultima mostra antologica a lui dedicata, all’interno della quale esponenti del mondo della cultura quali Umberto Eco, Arturo Carlo Quintavalle, Alan Jouffroy gli hanno reso l’ultimo omaggio.

Nell’arco della sua carriera pittorica lo invitano a realizzare esposizioni personali a Parigi, Stoccolma, Bruxelles, Londra, Anversa, Stati Uniti e Sudamerica, sia in gallerie private che presso istituzioni pubbliche e Musei.

Dopo la sua morte (2002) dal 24 al25 settembre 2004, presso il Palazzo Reale di Milano, Fondazione Corriere della Sera organizza il convegno Le figure, le cose a cui partecipano personaggi di spicco della cultura, dell’arte, del giornalismo come Ferruccio de Bortoli, Umberto Eco, Paolo Fabbri, Arturo Carlo Quintavalle, Valerio Adami.
Nella primavera del 2005 il Museo Villa dei Cedri di Bellinzona gli dedica un’ampia mostra antologica. Nel 2007 si tiene a Milano la grande mostra Emilio Tadini 1960-1985. L’occhio della pittura negli spazi espositivi della Fondazione Marconi, della Fondazione Mudima e dell’Accademia di Brera, con un ricco catalogo edito da Skira.

Nel 2008 il figlio Francesco Tadini e la giornalista Melina Scalise fondano l’associazione Spazio Tadini in suo omaggio inglobando negli spazi della tipografia di famiglia, lo studio dell’artista. Nel 2015, Spazio Tadini diventa Casa Museo nel circuito Storie milanesi che raccoglie 15 luoghi della città dove hanno vissuto dei personaggi (artisti, scrittori, designer) che hanno dato un contributo artistico e culturale alla città. Nelle sale della casa museo è possibile visitare l’ex studio e vedere opere dell’artista, oltre alla sua biblioteca. Presso Spazio Tadini ha sede l’archivio degli eredi Francesco Tadini, regista e autore televisivo,  e suo fratello, Michele Tadini, compositore.

 

Incarichi professionali e istituzionali di Emilio Tadini

E’ stato presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera dal 1997 al 2000.

Dal 1992 inizia un’intensa collaborazione con il Corriere della Sera come critico d’arte ed editorialista.

Il 28 novembre 1997 Ha condotto e ideato la trasmissione televisiva sull’arte Contesto su Tele +. Al termine del ciclo di 100 puntate condotte, così si è espresso Aldo Grasso sulle pagine del Corriere della Sera, parlando della trasmissione ideata e presentata da Emilio: “Tadini fa 100 e chiude vincendo la sfida dei libri Che peccato, alla vigilia di Natale ha chiuso i battenti una delle poche trasmissioni civili, intelligenti, pacate della tv italiana (…)” Mentre Alessandro
Baricco disse: “Contesto” ha un’idea del tempo che non nasce dalla cultura televisiva
ma da quella libresca. Solo così è possibile articolare le proprie opinioni”.

Dal 2000 al 2001 collabora con la RSI Cultural (Radio televisione Svizzera)

Direttore Premio Bagutta

Membro della giuria del Premio IX Italo Calvino 1996

 

RICONOSCIMENTI E PREMI

« La passione secondo san Matteo », che vinse il premio “Renato Serra”

Premio Campiello con La lunga Notte

Premio Campiello con L’armi l’amore 

La tempesta, Einaudi 1993 (Premio Strega)

Penclubitalia

 

Il suo pensiero

In uno scritto del 1960, Possibilità di relazione, Tadini aveva chiarito la poetica alla quale, malgrado l’incessante ricerca e metamorfosi del suo lavoro, è rimasto sempre fedele: il principio cui mi attengo, diceva, è quello di “una possibile libertà integrale della ragione…che porta a far saltare ogni diaframma tra il mondo ‘fisico’ e quello ‘spirituale’ (…). È questa presa di posizione che porta logicamente a superare ogni alternativa superficiale di realismo e spiritualismo (o di arte fantastica) proponendo qualcosa che si potrebbe chiamare realismo integrale, nella cui sfera devono essere risolte tutte insieme le funzioni dell’uomo in ogni particolare momento della sua storia”.

Tadini dichiarò la sua avversione nei confronti dell’espressionismo astratto americano, per contro l’espressionismo cinematografico tedesco condizionò non poco la sua visione dello spazio urbano. Se distinse la pop art americana da quella inglese, è perché mentre dalla prima prese le distanze, la seconda gli fu per molti versi congeniale. Non ebbe nessun timore di sperimentare nuovi linguaggi, ma mai per puro gusto avanguardistico o di accumulazione citazionistica post-moderna; al contrario, per arricchire e spostare il patrimonio di una tradizione classica che conosceva a menadito.

In una realtà come quella odierna, ormai definitivamente “sottosopra”, l’uomo sia destinato a sopportare una nuova croce: quella di vivere dentro un universo sconnesso, privo di riferimenti stabili, di territori sicuri, di valori condivisi. Il protagonista ricorrente, una sorta di Pinocchio metafisico e vagamente ridicolo, brancola nel vuoto: anche la forza di gravità sembra non sostenerlo più.

Detta altrimenti: certo che a Tadini premeva dipingere, colorare, distribuire le ombre e le luci. Ma gli premeva in funzione di quel “realismo integrale” ricordato nel suo testo del ’60, gli premeva in funzione di una lettura allegorica del presente, al modo di Beckmann. Gli premeva perché voleva raffigurare, raccontandolo e teatralizzandolo, L’insieme delle cose (come suona il titolo di un suo libro di poesie pubblicato da Garzanti).

 

È nell’intermittenza tra la razionalità e un’oscurità sempre incombente che vivono i personaggi dei suoi quadri. Basti citare, per tutti, il ciclo sul “ballo dei filosofi”, laddove il refrain verbale (un immaginoso e sgangherato “ego fuit”) suona a evidente sberleffo dell’Io cartesiano, che tutto sa e tutto controlla. Qui l’Io, invece, poco sa e meno ancora controlla. Ma non per questo demorde. In fin dei conti l’avventura cui è chiamato è sì tremenda, ma insieme affascinante. Chi infatti vede tra le maglie allentate del reale, il nulla, l’abisso, è ovviamente terrorizzato, ma può anche giovarsi del senso di assoluta libertà che ne discende.

Andata gambe all’aria ogni sistemazione definitiva del mondo, la luce di questa nuova ragione – affidata negli ultimi trittici a una ricorrente, piccola candela, sempre periclitante – sarà magari più fioca, più incerta. Ma finalmente propria: unica, singolare, irripetibile. Così come è stato, ed è, assolutamente unico, singolare, irripetibile, il tragitto artistico ed esistenziale di Emilio Tadini.

 

Casa Museo Spazio Tadini

Fondata nel 2008 da Francesco Tadini e Melina Scalise oggi è inserita nel circuito di case museali, Storiemilanesi (www.storiemilanesi.org)

Apertura mostra Spazio Tadini via Jommelli, 24 Milano

Durata della mostra: dal 23 febbraio al 18 marzo

Apertura 23 febbraio ore 18.30 apertura al pubblico – ingresso 5 euro.

Apertura settimanale

24 e 25 febbraio dalle 15 alle 18  (in queste due giornale l’orario subisce una variazione)

Per tutte le settimane successive rimane valido l’orario seguente:

Da mercoledì a sabato: Dalle 15.30 alle 18.30

Domenica dalle 15 alle 18.30

Giacomo Raccis – Una nuova sintassi per il mondo. L’opera letteraria di Emilio Tadini

Giacomo Raccis Una nuova sintassi per il mondo. L’opera letteraria di Emilio Tadini(Quodlibet, Macerata 2018) – – Unanimemente riconosciuto come pittore, stimato come Intellettuale e apprezzato come divulgatore, Emilio Tadini è stato anche uno scrittore di grande levatura, continuatore di una tradizione sperimentale che passa per Faulkner, Gadda e Céline. Tra romanzi, poesie, saggi e testi teatrali, Tadini ha saputo dare vita a una scrittura eclettica, mimetica rispetto alle diverse forme del pensiero e del linguaggio parlato, e comunque sempre fedele a un unico rovello: restituire, attraverso la parola, l’«integrale» complessità dell’umana esperienza del mondo.
Utilizzando di volta in volta la fenomenologia, la tradizione del pensiero negativo o la psicanalisi, Tadini si è confrontato con i principali passaggi culturali del secondo Novecento: dal neorealismo alla nuova avanguardia, dal postmodernismo alla letteratura cannibale. Ha trasformato la sua scrittura, e in particolare quella romanzesca, nel terreno entro cui affrontare questioni teoriche ed espressive senza mai appiattirsi sulle posizioni dominanti. E lo ha fatto dimostrando un’eccezionale coerenza con il parallelo lavoro pittorico, che resta un riferimento ineludibile per comprendere anche la sua poetica letteraria. Ideatore di personaggi memorabili e affabulatore di rara maestria, con il suo espressionismo erudito Tadini si presenta al lettore di oggi come uno scrittore “eccentrico”, ma di sicura attualità nel panorama del secondo Novecento italiano.

Qui di seguito proponiamo gli estratti dal libro di Giacomo Raccis e le relative opere – a colori e in alta definizione – di Emilio Tadini che nel volume compaiono in bianco e nero.

Vita di Voltaire

Il ciclo della Vita di Voltaire, capolavoro di questa stagione, mostra come Tadini “giochi” consapevolmente con le potenzialità del linguaggio visivo.
Si tratta di una serie di tele caratterizzate da una tecnica compositiva dichiaratamente pop: la dinamica di linee e colori si richiama chiaramente al disegno pubblicitario; le figure – in primis Voltaire, che ha sembianze di un manichino – e gli oggetti – la bombetta di Magritte, una poltrona, una maschera antigas o il casco da football – tornano identici da una tela all’altra, combinati, come in un fotomontaggio, secondo schemi di volta in volta diversi. E orizzonti diversi – come la guerra e la cultura di massa, l’intimità domestica e
la Storia – si fondono in un cortocircuito indecifrabile, in cui la posa assertiva dei personaggi raffigurati e la natura irrevocabilmente denotativa dei titoli delle tele (Il caso Calas o Voltaire a Ferney, del 1967) mettono in allerta l’osservatore. Siamo nell’universo del sogno, dove tutto si trasforma e si confonde; i volti non sono mai visibili, bensì coperti o rimpiazzati da oggetti (cravatte, cinture, piante); il principio di doppia determinazione agisce per condensazione e spostamento dando a ogni elemento nuovi, imprevedibili significati [64-65]

Vita di Voltaire. Il caso Calas, 1967
acrilici su tela
162 x 130 cm

Francesco Tadini, opere citate libro Giacomo Raccis
Emilio Tadini, Vita di Voltaire. Il caso Calas, 1967. acrilici su tela,162 x 130 cm

Le vacanze inquiete

La prima mostra inaugura l’11 novembre 1965 ed è la collettiva Adami, Del Pezzo, Schifano, Tadini. Le tele esposte da Tadini fanno parte del già citato ciclo delle Vacanze inquiete, che mette in mostra le prime evoluzioni nella sua pittura. Qui, come nelle serie La famiglia irreale d’Europa, Il giardino freddo e Il posto dei bambini (tutti del periodo 1965-1966), le figure si fanno più definite e nette, per quanto ancora in bilico tra una natura antropomorfa e un’altra più ambigua; a rendere riconoscibile la loro funzione nella tela è tuttavia la natura dinamica della composizione di cui sono parte. […]
È così che la pittura di Tadini riflette le tensioni della civiltà contemporanea del nuovo capitalismo occidentale, e proprio la “vacanza inquieta” è uno dei primi “luoghi comuni” della nuova «cultura del loisir» (E. Morin) che porta il benessere (piccolo)borghese alla portata delle masse. Tadini sottopone le nuove «mitologie» a uno sguardo a un tempo critico e affascinato. Lo influenzano naturalmente le riflessioni di Adorno e Horkheimer sul consumo estetico e sull’inconcepibile convergenza di arte e divertimento in quella formula unica e «falsa» che è l’«industria culturale». D’altra parte, però, anche il pensiero di un marxista eterodosso come Walter Benjamin seduce Tadini, che indugia sui simboli della nuova civiltà scorgendo, in qualche modo, la loro natura caduca, di vestigia di un mondo che contiene già in sé l’orizzonte della propria dissoluzione. Fin da queste tele si definiscono, infatti, le linee della «poetica archeologica» che caratterizzerà le opere degli anni Settanta [57-59].

Le vacanze inquiete, 1965
acrilici su tela
65 x 81 cm

Francesco Tadini, opere citate libro Giacomo Raccis
Emilio Tadini, Le vacanze inquiete, 1965, acrilici su tela, 65 x 81 cm

Angelus Novus

La pittura della fine degli anni Settanta riflette tutte queste considerazioni. È del biennio 1978-1979, infatti, un ciclo intitolato emblematicamente Angelus novus . L’ispirazione al capolavoro di Klee, ma soprattutto alle pagine che vi ha dedicato Walter Benjamin, è esplicita. In tutte le tele ritorna costante la figura di un angelo, riprodotto con le fattezze di un manichino color cartone, che appare ferito o stordito; intorno a lui è sospeso un vortice di oggetti di vita quotidiana. Soffia il vento della tempesta, la cui direzione è indicata da alcune frecce rosse; l’angelo si trova al centro. È spaesato, interroga gli oggetti che la tempesta solleva intorno a lui, chiede loro da che parte andare, dove puntare lo sguardo; ma nessuna risposta giunge in suo soccorso: l’idea che gli oggetti possano conservare il senso della storia è sparita dall’orizzonte di questi quadri. E non è un caso che il testo con cui Tadini accompagna questo ciclo di tele si concentri sulle conseguenze che un’errata nozione della Storia può avere sulla condizione dell’uomo. Che si tratti di un futuro radioso o di un passato da riattualizzare nell’utopia, l’uomo proietta sempre in un “altrove” il momento della ricomposizione di quella totalità che anche Benjamin sapeva essere impossibile. Il vocabolario adoperato è ancora una volta quello della distanza dalla “prima separazione”, della necessità del bambino di creare figure che riempiano lo spazio intermedio [71-73].

Angelus Novus, 1978
acrilici su tela
195 x 150 cm

Francesco Tadini, opere citate libro Giacomo Raccis
Emilio Tadini, Angelus Novus, 1978, acrilici su tela, 195 x 150 cm

Profugo

È del 1990 la grande mostra personale dedicata dallo Studio Marconi ai Trittici di Emilio Tadini, tra i quali spicca l’importante ciclo dei Profughi. […] In questo ciclo i personaggi presentano nasi rossi da clown o etichette come quelle delle merci nei negozi; la figura del profugo appare cioè caratterizzata da una specifica componente teatrale, che lo porta a recitare malgré soi una parte diversa dalla propria. D’altra parte, il profugo è colui che abbandona la propria casa, e con essa la propria originaria identità, per ricostruirle entrambe altrove. In queste tele un intero repertorio di oggetti fluttua intorno alle figure centrali. Che si tratti di stoviglie, pennelli, chiavi o giocattoli, questi oggetti sono i resti della precedente vita che il profugo porta con sé e con i quali cerca di ricostruire una trama di relazioni e affetti. Sono piccole cose su cui fondare piccole religioni, come fa Prospero. Ha scritto Bersani, a proposito della pièce intitolata esattamente Profughi, che «in quelle povere cose dimenticate, senza nome e senza significato, stanno le identità delle persone; i loro legami da nulla che li proteggono dal nulla» (Un teatro pieno di «effetti personali», 1995). Dovunque conduca la sua fuga, in un bosco o nella città, il profugo avanza alla tenue luce di una candela con cui cerca di illuminare il cammino, ma che simboleggia anche la sempre più spenta disponibilità del mito illuminista [124].

Profugo, 1988
acrilici su tela
150 x 200 cm

Francesco Tadini, opere citate libro Giacomo Raccis
Emilio Tadini, Profugo, 1988, acrilici su tela, 150 x 200 cm

Saggio sul nazismo

Questi caratteri trovano una prima notevole espressione in Saggio sul nazismo, una tela del 1960 che anticipa alcuni aspetti della produzione più matura. Qui le figure antropomorfe, impegnate in diverse azioni riconducibili alla sfera della violenza e della brutalità, si moltiplicano ed entrano in movimento, andando a occupare le diverse sezioni della tela. Lo spazio si complica, si articola su differenti piani, prospettici e di colore. La stessa “macchinizzazione” di cui sono vittime i personaggi sembra alienare anche la Natura circostante, ridotta a profili urbani, bersagli colorati e artificiosi steli di fiori. La violenza brutale perpetrata dall’uomo contro se stesso (emblematizzata dalla scena di sodomizzazione al centro del quadro) viene doppiata da quella condotta sull’ambiente circostante, secondo un tema che Tadini porterà avanti nei successivi cicli (Le vacanze inquiete, del 1965, o Il giardino freddo, del 1965-1966). Saggio sul nazismo fornisce inoltre una prima dimostrazione di «pittura narrativa»: la tela, infatti, non si presenta più come una fotografia che immortala i personaggi nella fissità di un singolo istante, ma si compone in un vero e proprio tableau, dove ogni gruppo figurale costituisce un episodio di uno stesso racconto. Lo sguardo di chi osserva si muove liberamente, stabilisce relazioni tra i diversi piani, componendo una narrazione secondo un personale progetto interpretativo [28-30].

Saggio sul nazismo, 1960
olio su tela
50 x 60 cm

Francesco Tadini, opere citate libro Giacomo Raccis
Emilio Tadini, Saggio sul nazismo, 1960, olio su tela, 50 x 60 cm

Il pasto del grande metafisico

Nel 1990, interrogato da Grazia Cherchi circa la struttura di giallo che sta alla base dell’Opera come del successivo La lunga notte, Emilio Tadini risponde: «Ho finito di dipingere da poco un trittico che si intitola Il pasto del Grande Metafisico (Il Grande Metafisico è il titolo di un quadro di de Chirico). Sui pannelli laterali ci sono tavoli con bicchieri di vino, e pani. Sul pannello centrale c’è un morto. Su di lui si china un personaggio che assomiglia a Dashiell Hammett. Qui, il personaggio che prende il posto del Metafisico è un investigatore. Il morto resta sempre lo stesso, più o meno» (La ragion comica, 1990).
A voler conservare la metafora, si potrebbe dire che il morto è, o in qualche modo rappresenta, un attentato alla verità, che, per essere scoperta, dev’essere fatta oggetto di un’indagine: alla ricerca della verità si mette allora, al posto del Metafisico, un investigatore professionista, un poliziotto da romanzo hard-boiled come quelli di Dashiell Hammett (nella tela a cui fa riferimento Tadini, si leggono proprio le iniziali H.D.). Secondo Tadini, si sa, non c’è più spazio per la metafisica nel mondo contemporaneo: è inutile cercare verità assolute, meglio, semmai, leggere la realtà come il dispiegarsi di una serie continua di piccole trame “poliziesche”, sulle quali tanti investigatori privati conducono le proprie indagini [86].

Il pasto del grande metafisico, 1989
acrilici su tela, trittico
200 x 108 cm – 200 x 90 cm – 200 x 108 cm

Francesco Tadini, opere citate libro Giacomo Raccis
Emilio Tadini, Il pasto del grande metafisico, 1989, acrilici su tela, trittico, 200 x 108 cm – 200 x 90 cm – 200 x 108 cm

Fiaba

Primo cronotopo del romanzo, la dimensione del viaggio rappresenta anche il veicolo attraverso cui la narrazione di Eccetera apre alla dimensione della fiaba, definitivo approdo della riflessione poetica di Emilio Tadini. Non si tratta tanto di riconoscere in Eccetera una costruzione allegorica che consenta di coniare la formula, invero ambigua, di «romanzo-fiaba» (Casadei); quanto di individuare nell’ultimo romanzo gli elementi – tematici o strutturali – che consentano di individuare una convergenza tra la produzione narrativa di Tadini e gli esiti della sua ricerca teorica, che si conclude sul breve testo intitolato proprio La fiaba della pittura. D’altra parte, come sempre accade nella sua opera, i sintomi di un tornante poetico sono ravvisabili contemporaneamente anche nella produzione pittorica, dove s’impone proprio un ciclo di dipinti intitolato alla Fiaba [151-152].

Fiaba, 1999
acrilici su tela
61 x 50 cm

Francesco Tadini, opere citate libro Giacomo Raccis
Emilio Tadini, Fiaba, 1999, acrilici su tela, 61 x 50 cm